VIII del tempo ordinario C

27 febbraio 2022

 

Sembra che per il mondo non ci sia tregua: dopo una pandemia tragica che non sappiamo se sia ancora tra noi a pieno ritmo o se ne stia andando una volta per tutte, attenuando i suoi mordenti feroci, siamo ora sull’orlo di una guerra mondiale che tutti ci indigna, pensando che questo scenario appartenesse definitivamente al passato. Se non siamo amebe e non lasciamo scivolare tutto sul piano inclinato della nostra indifferenza, dando spazio solo ai nostri interessi, ai nostri divertimenti, ai nostri pensieri, le immagini di distruzione e bombardamenti dovrebbero colpirci profondamente il cuore, così come non può lasciarci inermi la scena terrificante di un carro armato che schiaccia letteralmente, con un’atrocità inaudita, l’auto condotta da un’anziana signora, miracolosamente uscita illesa, su una delle strade principali di Kiev. Se non siamo indifferenti e la nostra sensibilità umana e cristiana è quanto mai viva in noi, allora significa che abbiamo la possibilità di pensare, di riflettere, di meditare attentamente sugli sconvolgimenti del mondo e sulla nostra stessa vita.

Mentre ci indigniamo perché la scena di questa terra è dominata dalla prepotenza, dal desiderio di potere e dalla stupidità umana dei grandi della terra, che dichiarano guerra come se fosse un gioco per conquistare territori, ciascuno di noi cerca di far valere le proprie ragioni sugli altri, portandoci a scontri, ferite, divisioni che sembrano incolmabili e guerre interiori che non dominano la scena pubblica, ma lacerano i cuori nel silenzio della propria esistenza.

Mentre siamo atterriti per le immagini che i nostri occhi vedono, pensando ai potenti che si danno la colpa gli uni gli altri per giustificare l’ennesima guerra fratricida, ciascuno di noi cerca di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello dimenticandosi della trave che è nel suo, continuando così, nel nostro piccolo, la continua ricerca di giustificazioni che incolpino sempre gli altri per ritenersi apposto e puliti in coscienza.

Mentre sulla terra si stringono alleanze e gli stati si legano gli uni agli altri per difendere i propri profitti e interessi, facendo fronte all’avanza nemica e mettendo in secondo piano la dignità e la vita umana, noi ci alleiamo col primo che passa e con chi difende i nostri interessi, con chi ci cerca per accomodare i propri, con chi ci fa credere importanti, ma solo per facciata; grande sapienza, invece, ci viene dal libro del Siracide, il quale ci mette in guardia dicendoci: non lodare un uomo prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini. E il Signore Gesù rimarca questa saggezza a chiare lettere: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca?». Noi riassumeremmo queste parole con il semplice proverbio: Dimmi con vai e ti dirò di chi sei.

Mentre nel mondo si stanno cercando mediazioni che aprano al dialogo per far cessare una strage di uomini e donne, anziani e bambini innocenti, e mentre siamo pieni di speranza che i capi di governo tornino a parlarsi, anziché bombardare, ci chiediamo: perché facciamo fatica a dialogare tra noi, a parlarci, a guardarci negli occhi e capire che c’è ancora la possibilità di amarsi come fratelli in Cristo, di volerci bene anche se abbiamo avuto divergenze o ci siamo persi infatuati da qualche situazione? Perché fatichiamo a capire che abbiamo ancora la possibilità di vivere momenti sereni e intensi di amicizia profonda, anziché continuare a farci guerre che non sono riportate sui giornali, ma che nel silenzio divorano il cuore? Sì, perché non ce la facciamo in prima persona mentre inneggiamo alla pace, quella altrui?

Che la Quaresima, ormai alle porte, torni ad essere per noi, come per il mondo, un tempo speciale di fatti vòlti alla pace, al dialogo, all’incontrasi, al guardarsi negli occhi, al modificare ciò che non va o ciò che è giusto cambiare, per perdonarsi a vicenda, riabbracciarsi di vero cuore e vivere in prima persona il Vangelo, per essere cristiani coerenti e non ipocriti, indifferenti, mediocri. Perché il dialogo non è un banale saluto di cortesia o di buona educazione tra semplici conoscenti, ma lo scambio di parole sincere. Altrimenti sarà troppo facile inneggiare alla pace quando le bombe sono degli altri.