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III di Quaresima C

20 marzo 2022

 

Che meraviglia e che stupore avrà provato Mosè di fronte a quel roveto che ardeva, ma non bruciava, un cespuglio di rovi in fiamme che non si consumava. Il roveto: una pianta piena di spine, pungente e senza frutti che ci rappresenta quando nella vita la rabbia, la malvagità, la cattiveria si impadroniscono di noi, dei nostri sentimenti, del nostro fragile cuore. A volte basta poco per essere come un rovo: una parola di troppo, un peso sullo stomaco, un’offesa subita o una situazione difficile da digerire, ma anche un torto subito. Basta poco per essere pungenti e senza frutto, perché le situazioni di dolore o di litigio, di incomprensione o di discussioni accese ci lasciano pungenti e la sofferenza porta a chiudersi in sé e a non dare buoni frutti. Di acceso non devono essere le nostre discussioni che ci portano lontani gli uni dagli altri, ma il fuoco dell’amore di Dio, un fuoco che arde sempre e mai si consuma, perché la misericordia di Dio è eterna, come Lui, perché Lui è misericordia. Chissà quante volte Dio avrà perso la pazienza con me, con ciascuno di noi, eppure non ha mai smesso di amarci e di usare misericordia, non ha mai smesso di rinnovare la sua pazienza e di venirci incontro con il suo perdono.

La pazienza di Dio: la vediamo bene raffigurata da quel vignaiolo che, nella vigna del padrone, si trova a dover coltivare un fico che, a differenza del roveto, porta frutti, frutti squisiti, frutti dolcissimi. Ma non era il caso di quella pianta, visto che era tre anni che il padrone veniva a raccogliere frutti, ma non ne trovava: valeva la pena tagliarla per non sfruttare inutilmente il terreno. Teneri sono i frutti del fico, soprattutto nel pieno della maturazione, come tenere sono le parole di quel contadino che, facendo fronte al padrone, gli chiede: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”. Chi possiamo vedere nella figura del padrone e chi in quella del vignaiolo? Penso che in entrambe le figure possiamo vederci Dio e l’uomo: ma andiamo con ordine. Quel padrone della vigna potrebbe essere Dio che mette alla prova l’uomo per vedere se sa essere paziente, se sa coltivare bene quanto Dio ha posto nelle sue mani, se sa aver cura delle sue relazioni anche quando queste diventano infruttuose o pungenti come un roveto; nello stesso momento la pazienza dell’agricoltore potrebbe somigliare a quella che Dio ha nei confronti dell’uomo quando, a causa del suo peccato, non porta frutti. Viceversa quel padrone potremmo essere noi, che andiamo subito al pratico e all’utile e non avendo per nulla pazienza giungiamo a soluzioni rapide, a volte troppo rapide da fare danno, come lo vediamo dalle immagini di guerra; così come potremmo essere noi quel vignaiolo che sa usare pazienza e saggezza nelle cose di ogni giorno, nelle relazioni pungenti come in quelle infruttuose che si infiammano subito di ostilità, trasformandole in rapporti di amore e perdono, di misericordia e gratitudine.

Come non leggere tutto questo messaggio evangelico nelle parole del Salmo 1:

Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi.

Beato l'uomo che nella legge del Signore trova la sua gioia.
È come albero piantato lungo corsi d'acqua,

che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono

e tutto quello che fa, riesce bene.

Potremo anche noi essere una pianta carica di frutti e non di spine, piena di foglie verdi e non di rami secchi, ricca di soddisfazioni e di felicità vera per aver meditato e seguito la parola del Signore, anziché avere una vita infelice e insoddisfatta per essere corsi dietro all’impulsività e alle fatue promesse degli uomini.

Non dobbiamo far altro che sederci sotto un albero, contemplarne la bellezza della sua rigogliosità primaverile e riflettere: vogliamo essere un roveto pungente o una pianta dai buoni frutti?

Stare sotto un albero, nella Sacra Scrittura, non è segno di perdita di tempo, ma di saggezza. Chiediamo allora quella sapienza che viene da Dio, che altro non è che quel concime che il paziente agricoltore pone attorno alla pianta infruttuosa perché porti di nuovo frutto; lasciamo che la sapienza del Signore arda dentro di noi e questo fuoco di amore e di perdono ci porti a bruciare quelle spine che ci tengono a distanza gli uni dagli altri, perdonandoci così a vicenda per essere davvero la Chiesa di Dio, nella quale raccogliere i buoni frutti di ciascuno, frutti di vera conversione, sulla piazza, in casa o sotto un albero.

Allora scopriremo con meraviglia ciò che Dio disse a Mosè dal roveto ardente: «Togliti i sandali, perché il luogo sul quale tu stai è un luogo santo»; questo perché saremo noi a rendere santo non solo il tempio in cui ci raduniamo per celebrare i santi misteri, ma l’intera comunità, il nostro paese, la Chiesa intera in cui viviamo perché, attraverso il perdono vicendevole e l’amore fraterno, renderemo il suolo che calpestiamo ogni giorno un suolo santo sul quale Dio prende dimora.