Giovedì Santo

Cena del Signore

14 aprile 2022

 

Per due volte Gesù si siede a tavola e per altrettante due si alza.

Si siede una prima volta per magiare la cena pasquale con i suoi discepoli, per lasciarci il memoriale della sua Pasqua di passione, morte e risurrezione, per dare inizio a ciò che ci ha comandato di perpetuare in eterno dicendoci: «Fate questo in memoria di me». Ma questo cosa? L’Eucaristia, nella quale Egli ci ha donato tutto se stesso nel pane e nel vino, nel suo Corpo e nel suo Sangue.

Si alza una prima volta dalla tavola, non per maleducazione, come spesso avviene nelle nostre case quando si ha finito di mangiare e poco ci importa dei commensali; durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.

Si risiede, Gesù, al suo posto e inizia a insegnare ai suoi discepoli, in particolare a Pietro, chiamato a guidare la prima Chiesa, la prima Comunità, quella fatta da uomini che avevano lasciato tutto per seguire il Maestro, ma senza capire fino in fondo il perché e cosa chiedesse loro. Inizia a insegnare loro che sono discepoli e in quanto tali sono chiamati per seguire le orme del Maestro, per imitarlo in tutto e per tutto e per fare anche di più, anche meglio. Lo insegna innanzitutto a me, prete, posto alla guida della comunità, come ha fatto con il primo apostolo, Pietro, il più malandato, che da lì a poche ore lo avrebbe rinnegato, come faccio io, ogni giorno. E così avvenne. Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». 

Si rialza Gesù, questa volta per non sedersi più, mai più. Si rialza da tavola deciso ad andare verso il Calvario, verso la morte; si rialza da tavola deciso ad andare non incontro a un destino, ma alla volontà del Padre, quella di riunire sotto la sua croce tutti i dispersi della casa di Israele; si rialza da tavola, Gesù, per andare deciso a donare la sua vita per la Chiesa nascente, per i suoi, per noi.

Ecco: Gesù si siede a tavola per dare ai suoi e a noi il prezioso dono dell’Eucaristia che infonde nel nostro cuore il prezioso dono dell’amore fraterno; poi si alza per mostrarci questo amore fraterno nella lavanda dei piedi ai suoi discepoli; si risiede e spiega, invertendo così la classica abitudine di insegnare prima e dimostrare dopo, di mettere la teoria prima della pratica, infatti – dice – «Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi»; si rialza per andare verso la croce, perché la teoria che il Maestro spiega ai suoi discepoli non è credibile se lui stesso non la mette in pratica fino in fondo.

Chissà: da buoni discepoli avremo capito anche noi la teoria dell’amore fraterno, quella di fare anche noi come ha fatto il Maestro, quella di amarci e perdonarci a vicenda, di lavarci a vicenda i piedi, le ferite, le offese, i tradimenti, le menzogne? Tutto a vicenda, cambiando un po’ la nostra prospettiva di vita, passando non solo dalla teoria alla pratica, ma dall’io a Dio, da se stessi all’altro, dal proprio posto da occupare, all’asciugatoio da impugnare.

Essere Chiesa inizia da qui. Da qui ha inizio la Chiesa.