Ascensione del Signore C

Domenica dell’Unzione dei malati

29 maggio 2022

 

«Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?».

Domanda quanto mai impegnativa. Cosa si aspettavano quegli uomini da Cristo risorto che si stava staccando fisicamente da loro? Cosa si aspettavano quegli uomini che stavano e dovevano ancora aver a che fare con un impero che non accettava il Vangelo? Cosa si aspettavano dal loro Maestro che li stava per abbandonare una seconda volta? Forse erano ancora dell’idea che lui fosse disceso sulla terra per liberare il popolo d’Israele dal dominio romano o forse erano ancora del parere che il loro successo umano e la loro carriera fosse condizionata dalla presenza fisica del Signore che con i suoi prodigi dava lustro e rilevanza anche a loro; forse speravano che quel momento di doversi staccare definitivamente da Lui non segnasse per loro la fine e la disgregazione di un gruppo traballante di uomini fragili che facevano fatica a stare uniti perseverando nella consistenza di quella che era la prima comunità.

Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». (At 1)

Diciamo che a riguardo di ciò che avevano chiesto gli apostoli, circa la ricostituzione del regno di Israele, il Signore non è stato ben chiaro, ma era giusto così. Egli stava parlando loro di un regno non terreno, ma divino, un regno che non aveva a che vedere con la potenza imperiale, ma con quella di Dio che si fonda su criteri che alla mente umana sono incomprensibili, come del resto lo è il Vangelo.

Perché il progetto del Padre sul suo regno fosse comprensibile, avrebbero dovuto lasciare andare Cristo perché Egli, tornato al Padre, potesse inviare lo Spirito Santo, vera potenza di Dio che, entrando nel loro cuore, li avrebbe resi coraggiosi, tenaci, perseveranti nel costituire loro stessi il nuovo regno di Dio: la Chiesa. Per questo ci vengono ribadite le parole di Cristo: «Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. (Lc 24)

Per staccarsi da loro e da questa terra li condusse in un luogo non casuale, ma nella piccola borgata di Betania, appena fuori dalla grande città, appena fuori Gerusalemme. Betania, il cui nome significa casa dell’amicizia, ha visto molte volte la presenza di Cristo quando, con i suoi apostoli, si recava dagli amici Lazzaro, Marta e Maria. È nel legame dell’amicizia, quella vera, con il Signore che si comprende la relazione che si instaura tra i discepoli di Cristo, dei quali facciamo parte anche noi. Il legame dell’amicizia è un legame profondo, perseverante, non ballerino o secondo le opportunità e le ideologie. È un legame che porta a scontrarsi e rappacificarsi, che porta a gioire insieme e insieme anche soffrire: è il legame dell’amore fraterno che dona tutto senza voler niente in cambio, come ha fatto Cristo per la sua Chiesa; per questo la Comunità cristiana deve fondarsi su quello stesso amore che genera amicizia e l’amicizia genera relazioni fraterne vere, speciali e non casuali come sono spesso quelle di città, dove nella moltitudine di persone non ci si conosce, ci si evita, si diventa sempre più apatici. Forse è proprio per questo che Cristo ha condotto i suoi amici più intimi a Betania prima di dar loro le ultime raccomandazioni e staccarsi da loro per tornare a loro e a noi sotto altra forma, quella dello Spirito.

Che rapporto abbiamo con il Signore, che rapporto abbiamo con i suoi discepoli, nostri fratelli, all’interno della Comunità? È facile essere fraterni quando tutto va bene, quando la pensiamo tutti allo stesso modo, quando non ci tocca la sofferenza e la pesantezza della vita si fa sentire.

Il pensiero allora non può che andare a quei fratelli e a quelle sorelle che, toccati dalla stanchezza della vita o dalla sofferenza della malattia, possono sentirsi abbandonati da Dio e dalla comunità. Quante volte, infatti, capita di trovare questi cari sul letto della solitudine o col pensiero dell’inutilità per questo mondo, per la Chiesa intera. Ma sappiamo bene che non è così.

Agli anziani, ai ragazzi, adolescenti e giovani, ai padri e madri di famiglia che giacciono in casa o in un ospedale portando nel proprio corpo una grave malattia e lottano tra la vita e la morte, a coloro che soffrono nel corpo e nello spirito vorrei dire: la vostra sofferenza è la nostra, la vostra solitudine ci interpella a lasciarci smuovere dallo Spirito Santo per diventare con voi e per voi sempre più fratelli in Cristo. La vostra vita sofferta è l’offerta più preziosa che potete presentare al Signore per la sua Chiesa e perché la sua Chiesa sia sempre più abitata dallo Spirito che il Padre ha promesso. Non possiamo fare a meno di voi, del vostro esempio di perseveranza nella malattia e nella fatica perché il peso della fragilità umana e degli anni che aumento si fa sentire. È grazie a voi che oggi invochiamo il Signore che, pur staccandosi da questa terra, ha deciso di restare sempre con noi nei sacramenti che celebriamo. La Sacra Unzione è il segno più tangibile della sua presenza nella sofferenza: l’olio santo sulla vostra fronte avvolge tutto il vostro corpo, affinché si senta sollevato dalle braccia tenere di Dio attraverso quelle della comunità chiamata a vivere il Vangelo prendendosi cura proprio dei più bisognosi e fragili; l’olio santo cosparso sulle vostre mani è il segno della forza che Dio vi dona, anche se quella fisica sembra pian piano lasciare il corpo. Dio non vi abbandona, la Chiesa non vi lascia soli, perché Cristo stesso, tornando al Padre, ci ha promesso che non ci avrebbe lasciati soli. Aiutate la Chiesa, anche attraverso l’offerta delle vostre preghiere diurne e notturne, ad essere la Betania del Vangelo e siate voi, per ognuno di noi, esempio di perseveranza nel Signore, per essere perseveranti in tutto e vivere l’amore vicendevole che ci costituisce figli di Dio e fratelli in Cristo nell’unità dello Spirito, prendendoci cura gli uni degli altri e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria.