XII del tempo ordinario C

19 giugno 2022

 

Per riconoscere una persona ci sono diversi modi: la si può riconoscere guardandola in faccia o dai lineamenti del corpo, qualora fosse voltata di spalle; la si riconosce dall’andatura e dal portamento, casomai fosse un po’ distante; la si riconosce dalla voce; la si può riconoscere addirittura dal profumo della pelle. Ri-conoscere: significa chiaramente che questa azione avviene dopo una prima conoscenza, quando la persona in questione è già stata conosciuta e incontrata almeno una volta, portando la conoscenza ad essere sempre più approfondita tanto da non aver più bisogno di vedere, ma basta sentire e avvertire con gli altri sensi l’avvicinarsi o la vicinanza della persona incrociata o che ci è a fianco.

Poi c’è un modo di conoscere superficiale che è quello delle chiacchiere e del pettegolezzo, del passaparola e della notizia da giornale. Non serve neanche guardare in faccia, ascoltare la voce, odorare il profumo che una persona emana, perché ciò che interessa è cosa abbia fatto, cosa abbia detto, stravolgere il pensiero, farle dire ciò che non ha mai detto e attribuirle un fatto mai accaduto, giusto per attirare attenzione e, per utilizzare un gergo televisivo, per aumentare l’odience o l’auditel che dir si voglia.

Anche nella parola di Dio troviamo questi approcci e nel pour parler di Gesù con i suoi apostoli vengono a galla questi due modi di conoscere le persone.

Gesù infatti chiede ai suoi discepoli che cosa dica la gente di lui. Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Poi, per non restare nella sfera superficiale della conoscenza, domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». E noi? Noi cosa diciamo di Lui? Perché quando si tratta di parlare degli altri, riconoscerli anche a distanza o per sentito dire è facile; quando si tratta di dire la nostra, di metterci la faccia, di testimoniare il vero e non il falso, allora diventa un po’ più complicato. Possiamo dire anche noi come Pietro che Cristo è il Figlio di Dio? Possiamo con certezza attestarlo per fede? Se rivolgessimo tale domanda ai nostri familiari, ai nostri ragazzi, ai genitori stessi che risposte avremmo? Siamo sicuri che la risposta di Pietro – Tu sei il Cristo di Dio – affiorerebbe sulle labbra delle persone alle quali rivolgiamo tale domanda? Per essere sicuri bisognerebbe iniziare oggi stesso questo sondaggio: le percentuali di risposta potrebbero variare. Forse per molti Gesù è una brava persona; sicuramente per tanti altri è uno che ha fatto molti miracoli; per qualcun altro uno che ha guarito i malati e fatto risuscitare qualche morto. Ma Gesù non è solo questo; Gesù è “il” Cristo di Dio e non uno a caso.

Basta proprio poco per passare dalla conoscenza profonda alla conoscenza superficiale, così come si può passare dalla conoscenza banale o casuale alla conoscenza profonda quando si instaura un legame vero, autentico, non fatto di becere chiacchiere, ma di un sentimento sincero. È quanto i nostri ragazzi insieme ai loro animatori cercheranno di fare attraverso l’esperienza del Centro Ricreativo Estivo: imparare a conoscere se stessi, a conoscere gli altri, a non fermarsi a una sensazione, ma a calarsi dentro un’emozione.

L’emozione: dal greco αἷμα, «sangue»; quante parole iniziano con il prefisso emo: emoglobina, emostatico, emocromo, ecc.: hanno tutte a che fare con il sangue e il sangue è vita e la vita è data dal sangue che il cuore pulsa. Così le emozioni pulsano dentro di noi e ci dicono che non siamo apatici, senza passione, morti dentro. Poi nella cultura moderna ci sono quelli che si definiscono “emo”, che trovano passione nel soffrire e per fare questo si tagliano le vene: altro che passione e vita, c’è solo stupidità e senso di vuoto profondo.

Poi c’è Cristo, il Cristo, che per noi ha dato la vita, che ha trasformato la sua passione in nostra salvezza, che a noi dice in ogni Eucaristia: «Questo è il mio sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». L’emozione allora è il passare dall’essere senza passione all’appassionarsi, al far sì che la nostra vita non sia vuota, come lo è la conoscenza approssimativa e superficiale, ma sia il battito del nostro cuore pieno di amore.

Questo processo può avvenire in tutti se – come ci ha detto il profeta – guarderanno a colui che hanno trafitto. Non solo: il nostro sguardo verso il Cristo ci porterà a immergerci nel suo Cuore che batte d’amore, perché solo l’amore ci porterà a conoscere il Signore non superficialmente ma in profondità meditando la sua Parola, vivendola ogni giorno da buoni e veri cristiani con la forza dell’Eucaristia che, come Chiesa, celebriamo ogni domenica e addirittura ogni giorno. Non limitiamoci a dire cosa ha fatto Gesù, ma chiediamoci ogni giorno: «Chi è per me Cristo?» e allora impareremo sempre più a conoscere e riconoscere Lui come «il Cristo di Dio» e a conoscere e riconoscere le persone come nostri fratelli e non come oggetto di chiacchiere e di pettegolezzi. Che bello conoscere il cuore di chi amiamo, come Cristo ci ama e conosce il nostro cuore; che bello conoscere il cuore di chi amiamo, perché anche quando è velato o si nasconde, si tira indietro per salvare l’apparenza o si cela sotto mentite spoglie, tu che ami sai cosa in realtà c’è in quel cuore, come sai bene che sotto la cenere si nasconde la brace che da vita a un fuoco ardente; è il fuoco dello Spirito che fa ardere d’amore i nostri cuori, come arde d’amore per noi il Cuore di Cristo.