XXI del tempo ordinario C

21 agosto 2022

 

Mentre è in cammino verso Gerusalemme, Gesù incontra un tale, uno qualunque che gli chiede se siano pochi quelli che si salvano. Non è una domanda casuale visto che Gesù a Gerusalemme non sta andando per fare compere al mercato, ma per donare la vita per la salvezza non di pochi, ma di tutti. E questa domanda non arriva dal niente, ma dal desiderio di entrare nella schiera dei salvati.

Se quel tale fossi io, fossimo noi, cosa chiederemmo a Gesù? Porremmo a lui la domanda sulla salvezza o piuttosto chiederemmo al Signore che sistemi tutti i nostri problemi?

Se quel tale posso essere io come puoi essere tu, significa che tutti abbiamo in noi il desiderio di salvezza e vorremmo capire chi in questo mondo potrebbe salvarsi o se il numero di chi vi accede sia limitato come i posti a sedere in un teatro, sugli spalti dell’Arena o in uno stadio.

E come sempre la risposta di Gesù è enigmatica, ma piena di significato: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno».

Quindi: come entrare nella schiera dei beati, nel numero dei salvati? Attraverso la porta stretta. Forse possiamo immaginarcela vagamente, visto che nelle nostre case abbiamo porte di larghezza normale, dove normale sta per “secondo le normative”. Nelle costruzioni, oggi più di ieri, ogni cosa è calcolata e anche le porte delle case, quelle di un qualsiasi edificio privato come quelle di uno aperto al pubblico, devono sottostare a parametri standard o quanto meno che non siano sotto quei livelli. Porte strette ne troviamo ormai poche, forse in qualche vecchio edificio come porta di solaio o di cantina; di portoni grandi, invece, ne possiamo trovare in gran numero nelle città o dove vennero costruiti palazzi dai grandi portoni. A dire il vero anche la nostra chiesa è dotata di un grande portale: che sia forse in dissonanza con la porta stretta dentro la quale il Signore ci invita a passare? Che differenza c’è tra il portale di una Chiesa e la porta stretta che il Signore cita, probabilmente perché ne aveva davanti una mentre dialogava con quel tale?

La porta stretta, tipica delle case del territorio santo (ricordiamo quando il paralitico sulla barella non fu introdotto dalla porta, ma calato dal tetto), ci parla di stile più che di architettura: la porta stretta indicava sicurezza, poiché difficilmente poteva entrare un numero eccessivo di persone per un’incursione e difficilmente potevano essere asportati i beni della casa, ma nello stesso momento indicava intimità di quel focolare domestico; la porta stretta implica anche una certa sobrietà di fisico e una statura non elevata per poterci passare: simbolicamente questo significa che la nostra vita sarà al sicuro come i beni di una casa solo quando non possederemo troppo e non punteremo sulle cose materiali tanto da gonfiarci nello spirito più che nel corpo e sarà una vita bella quando impareremo a non elevarci esaltandoci per ciò che siamo o pensiamo di essere. Passare dalla porta stretta implica fatica e abbassamento: non è questione di sovrappeso, ma di sforzarci a frenare la nostra cupidigia, la nostra bramosia verso tutto e verso il mondo intero, la nostra voglia sfrenata di possedere e questo fa ingrassare il nostro orgoglio; occorre abbassarsi per passare dalla porta stretta, segno questo di umiltà che ci permette di porci davanti a Dio e ai fratelli con la disponibilità di chi serve, come il Figlio dell’uomo – dirà Gesù annunciando la sua morte e mostrandocelo quando si chinerà sui piedi degli apostoli – che non è venuto sulla terra per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita per la salvezza di tutti.

Ecco allora le grandi porte delle chiese: non sono in controtendenza al Vangelo, ma sono così per mostrarci la grande quantità di coloro che possono entrare nella porta della salvezza e questa grande quantità non è certo dettata da un numero reale, ma simbolico: Giovanni nell’apocalisse parla di centoquarantaquattromila, che significa tutti. Le parole di Gesù sono chiare a riguardo: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi», facendo eco alle parole del profeta Isaia: Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore.

Porta larga o porta stretta? C’è una claustrofobia che dobbiamo vincere e dalla quale essere guariti: quella del nostro io, del nostro orgoglio, del nostro pensare sempre a se stessi e ai propri interessi. E perché questo avvenga occorre lasciarsi correggere dal Signore che – come ci ha ricordato la lettera agli Ebrei – corregge i suoi figli: Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? 

E perché un giorno il Signore non ci ripudi quando busseremo alla sua porta, dicendoci: «Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!», scegliamo lo stile della porta stretta, per poter un giorno passare attraverso il grande portone della Gerusalemme celeste e sedere così a tavola con Colui che ora qui in terra si è fatto cibo per la nostra salvezza e per quella di tutti.