XXV del tempo ordinario C

18 settembre 2022

 

Sono passati dieci giorni dalla morte della Regina Elisabetta II di Inghilterra e le immagini dei rotocalchi e dei telegiornali fanno e faranno parlare ancora di lei, della sua persona, del suo regno, ma soprattutto del suo stile che l’ha vista servire il suo popolo per settanta lunghi anni. Già nel 1947, a 21 anni appena compiuti, per volere di suo padre, re Giorgio VI, pronunciò solenni parole: «Io dichiaro davanti a voi tutti che tutta la mia vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale a cui tutti apparteniamo» e prometteva nel giorno della sua incoronazione: «Per tutta la mia vita e con tutto il mio cuore cercherò di meritarmi la vostra fiducia». Così è stato.

Le parole della longeva sovrana di Inghilterra, o meglio del Regno Unito, richiamano ai grandi della terra e a coloro che sono chiamati ad amministrare il popolo uno stile fortemente determinato dal servizio all’unità. Con questo non vogliamo esaltare la corona unita, fatta anch’essa di scandali e periodi bui, tuttavia gli intenti e la tenacia della Regina Elisabetta nel restare fedele alle sue parole vengono da tutti riconosciuti.

Questi giorni di campagna elettorale per il Bel Paese, la nostra Italia, ci portano a guardare con occhi interessati o disgustati i diversi confronti televisivi che vengono mandati in onda in ogni momento della giornata, assistendo così agli insulti che i politici riservano gli uni per gli altri, limitando le proposte ai soliti proclami di partito, pur di avere qualche voto e qualche seggio in più.

Regnare, governare, amministrare non è semplice e avvicinare le persone al mondo politico amministrativo, in particolare i giovani, è una cosa lodevole, per insegnar loro non come si anima un villaggio, ma come si serve il popolo cercando per esso solo il bene, un bene pubblico, un bene non interessato come le poltrone di governo, ma disinteressato come ci insegna la Parola di Dio.

Sono infatti imponenti le parole che il Signore, per bocca del profeta Amos, giura per il vanto di Giacobbe: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere». Di quali opere parla se non di ciò che il popolo di Israele vuole mettere in atto: “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano”. Ed ecco allora l’ironica parabola che Gesù racconta dell’amministratore disonesto, non di certo per lodarlo, ma per far comprendere ai suoi discepoli e a noi oggi, che la disonestà non è una novità dei nostri tempi, ma che per un niente, per una manciata di voti, per un successo personale, per non restare tagliati fuori si corre il rischio di cadere nel baratro dell’ingiustizia e dell’infedeltà al bene comune.

Fiumi di parole sono già scritti e pronunciati a riguardo, ma a ciascuno di noi la parola del Signore rivolge implicitamente una domanda: «Che amministratore sei di te stesso?», ovvero «Come amministri la tua vita, il tuo cuore, i tuoi pensieri, le tue parole, le tue azioni? Sai amministrare la tua persona in modo retto per saper amministrare il tuo rapporto con gli altri in modo corretto oppure preferisci cercare qualche vantaggio in più anche in modo scorretto pur di ottenere visibilità e consenso?». Questi interrogativi apparentemente potremmo pensarli rivolti ai regnanti, ai governanti, agli amministratori; loro non sono certamente esenti, ma queste domande devo pormele io, come sacerdote alla guida e al servizio di una comunità cristiana, ma anche tu che sei padre e a capo della tua famiglia, tu che sei moglie e madre dei vostri figli, tu che sei figlio e compagno e amico dei tuoicoetanei, perché la tua vita possa essere ben amministrata da te stesso e di esempio per gli altri; sono quesiti che il tuo cuore deve far emergere se sei inserito nella comunità ecclesiale, civile, sociale, se sei preposto a un gruppo o a un’istituzione pubblica e lo fai mosso da intenzioni di servizio e non per guadagni personali o solo per questioni lavorative, se sei una persona qualunque con neanche troppi impegni o cariche, ma pur sempre con relazioni pubbliche sul lavoro o casuali. Insomma: domande per tutti, nessuno escluso.

Figlio mio – scrive l’apostolo Paolo al discepolo e amico Timoteo – raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese. Ecco: preghiamo – dico io – non solo per i re e per coloro che stanno al potere e amministrano la res publica, ma gli uni per gli altri, perché nessuno si senta dire dal Signore e dal popolo a cui appartiene: «Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».