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XXVI del tempo ordinario C

25 settembre 2022

 

Canterellano al suono dell’arpa, bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma degli altri non si prendono cura; cesserà il gaudio dei buontemponi.

La denuncia del profeta Amos ci interpella, ci mette al muro e ci chiede: Che uomo sei, che cristiano sei? Per non parlare della narrazione del povero e del ricco, dell’indigente e dell’ingordo, di colui che non detiene nulla e di colui che ha tutto: che cristiani siamo, che uomini siamo? Ma soprattutto chi è più povero: il misero o il ricco epulone? Cosa cerchiamo su questa terra: il benessere materiale o quella povertà di spirito che ci porta a pensare ai fratelli e alle sorelle più bisognosi sapendo che la gloria non la troviamo su questa terra in ciò che possediamo, ma nel regno dei cieli dove saremo ricompensati per il bene compiuto?

Le grida del ricco epulone, che a differenza del povero Lazzaro non viene chiamato per nome, giungono fino alle nostre orecchie e ci mettono in discussione. Colui che non ha ascoltato il grido del povero, si trova tra le fiamme dell’inferno a gridare verso il cielo per ottenere misericordia da Abramo, nostro padre nella fede, perché interceda presso Dio a suo favore, mentre colui che gridava sulla terra per la sua indigenza si trova seduto al banchetto eterno nei cieli, là dove non c’è più né pianto, né stridore di denti. E noi che assistiamo a questa scena cosa diciamo, cosa pensiamo, cosa facciamo? Continuiamo a canterellare spensierati come coloro che credono di non avere problemi su questa terra, sordi al grido dei più bisognosi, o abbiamo un orecchio attento a coloro che chiedono aiuto?

Paolo all’amico Timoteo indica una strada ben precisa: Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. E a noi sembra dire: se sei uomo o donna di Dio allontanati da questo stile di vita opulento che ti porta a chiudere il cuore, ad abbassare lo sguardo e a turarti le orecchie; fuggi l’opulenza di questo mondo per essere uomo di giustizia, di pietà, di fede, di carità, di pazienza, di mitezza e allora sarai accolto tra le schiere degli angeli e dei santi e anche tu siederai al banchetto del cielo. O forse il cielo non fa per te? Forse non ti importa nulla di quel banchetto eterno che Dio ha preparato per i suoi figli, preferendo i banchetti terreni senza vedere i Lazzaro della situazione che chiedono il pane della carità e l’acqua della benevolenza?

Nella giornata mondiale del migrante, non ci devono interpellare solo gli sbarchi sulle coste del nostro paese, ma anche il vicino di casa che vive da solo, il ragazzo disagiato che nasconde dietro comportamenti gravi problemi con la famiglia, la nonnina o il nonnino che chiede solo un po’ di tempo per scambiare quattro chiacchiere, la famiglia che sta vivendo momenti particolarmente difficili. In una società dove ognuno pensa sempre a se stesso e a non curarsi dell’altro perché “non sono affari miei”, Cristo vuole costruire il regno dell’amore fraterno, dove l’attenzione vicendevole diventa gioia e soddisfazione per gli uni e per gli altri, per chi è nell’indigenza e per chi possiede tutto, per chi vive momenti di sofferenza e per chi gode di felicità, per coloro che sono provati dalle crisi e dalle fatiche della vita e per chi non è toccato da alcun problema.

Non dobbiamo nasconderci dietro una misera scusa del non voler essere invadenti, giustificando i miseri “fatti propri”, perché la povertà di questa terra è ricchezza nel cielo e la ricchezza di questa terra è miseria nell’aldilà. Chi è più povero allora: Lazzaro o il ricco senza nome, perché porta il mio nome?

Saremmo tutti ricchi non di beni materiali, ma di felicità vera, se imparassimo ad aiutarci a vicenda senza chiuderci negli affari nostri, ma condividendo la nostra vita con quelle persone che vivono accanto a noi e hanno bisogno della ricchezza del nostro conforto, del sostegno dei nostri incoraggiamenti, della preziosità della nostra compagnia. Non andiamo a cercare qualcosa di eclatante per fare il bene che faccia parlare di noi, ma – memori della parola di Cristo che ci ha insegnato che la nostra destra non sappia ciò che fa la nostra sinistra – agiamo per il bene dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che vivono accanto a noi, certi che la loro povertà diventa la nostra ricchezza e che la nostra carità sarà la loro ricchezza donando felicità a chi la riceve e a noi che la doniamo sinceramente.

Ricordiamoci allora che povertà e ricchezza non sono da associare solo a qualcosa di materiale, perché la ricchezza vera è saper donare non qualcosa, ma innanzitutto se stessi. E quel canterellare spensierato diventeranno canti di lode a Colui che ha cambiato il nostro cuore, prima che sia troppo tardi.