XXXII del tempo ordinario C

6 novembre 2022

 

Cos'è a spingere quei sette fratelli ad andare incontro alla morte in modo così sereno da non temere il carnefice pur di non ripudiare le tradizioni degli antichi padri? La risposta non può che essere: la fede.
Le tradizioni diventano importanti quando tramandano una fede vera e non superficiale, quando non si limitano a far eseguire qualcosa che non ha significato, ma parlano di una fede ancora attuale. Quei fratelli sono disposti a morire pur di conservare le leggi che i loro padri hanno loro tramandato. Tante volte noi parliamo di tradizione come una scatola contenente tante carte, cose da fare, modi di dire, ma il più delle volte ci intestardiamo nell'eseguire queste cose solo ed esclusivamente perché le abbiamo viste fare, dire, eseguire fin da quando eravamo bambini e le giustifichiamo con quel banale ritornello: abbiamo sempre fatto così. Questo per la fede può essere un tranello: quando noi tramandiamo qualcosa, dobbiamo non solo aver capito ciò che trasmettiamo, ma aiutare a comprenderlo anche a coloro ai quali lo tramandiamo. Il verbo comprendere può farci capire meglio tutto questo: esso significa prendere-con, afferrare, stringere. Come posso afferrare, stringere, prendere e calare nel mio interno qualcosa che mi viene dato in mano, ma non mi viene spiegato?
Compito di chi trasmette è far comprendere e così anche la fede se compresa sarà per tutti una forza che ci viene da dentro e ci spinge a donare la vita per un ideale importante.

Spesso la parola fede viene utilizzata anche in gergo sportivo: denota l'appartenenza ad una squadra, incitandola col proprio tifo, il proprio entusiasmo, compiendo anche atti forti come trasferte impossibili pur di seguirla. I motivi possono essere svariati e spesso questa “fede” è tramandata da padre in figlio. Il paragone può sembrare alquanto banale, ma – ripensando ancora alla forza di quei sette fratelli – se fosse così anche per la fede cristiana? Sono certo che le nostre chiese si riempirebbero come gli stadi e l'entusiasmo di essere cristiani sarebbe paragonabile a quelle grida di gioia per manifestare la propria appartenenza ad una squadra, grida che contagiano anche chi non se ne intende.

La fede dei sette fratelli ha certamente contagiato molti, tanto che o stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questi giovani, che non tenevano in nessun conto le torture, una fede che li ha portati a credere nel Dio dei vivi e non dei morti, dei viventi e non di quelli che vanno verso il nulla.

Come sarebbe la nostra vita senza la fede nella risurrezione dai morti? Come sarebbe la nostra vita se non credessimo a Cristo che ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale? Sicuramente una disperazione, perché troppo grande è il dolore che l'uomo prova di fronte alla morte. Nemmeno i più apatici o non credenti che dir si voglia potrebbero resistere alla sofferenza della morte di un proprio caro. La fede viene in nostro aiuto e di questa abbiamo bisogno: senza la fede la morte sarebbe un supplizio, la tomba un baratro.

Facciamo nostre le parole di Paolo: pregate per noi. Preghiamo gli uni per gli altri perché la fede possa essere di tutti e ci aiuti a credere nel Dio dei viventi che ha risuscitato Cristo dai morti e per la sua risurrezione risusciterà anche noi. Non possiamo restare indifferenti come chi non crede o come chi resta distaccato, cadendo così nel vuoto del non senso, come coloro che al Signore posero la domanda: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Domanda lecita, ma priva di fondamento, poiché quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.

Il Signore è fedele, scrive l’apostolo, e proprio per questa sua fedeltà non lascerà i suoi figli nella morsa della morte e non lascerà che la disperazione vinca sulla vita. La fede non diventa per noi un palliativo che ci permette di non considerare la morte, ma la nostra certezza che come tutti muoiono in Adamo, così tutti risorgeremo in Cristo. La fede nella risurrezione, difficile da comprendere, non è un talismano contro la morte e nemmeno una protezione per non soffrire; la fede non è un costume carnevalesco che ci fa prendere in giro la morte per paura della morte stessa, come la cultura che avanza ci porta a pensare. La fede, unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno, oggi più che mai è la nostra ancora di salvezza per affrontare il dolore senza fingere che non esista, è l’arca sulla quale salire se non vogliamo annegare nella disperazione, è il porto sicuro che ci permette di attraccare certi che la risurrezione è il nostro futuro e quello che dei nostri cari defunti.

Tramandiamo la fede nel Signore dei viventi, alimentiamola con la nostra preghiera per i vivi e per i morti, trasmettiamola con l’entusiasmo e non con il bigottismo, così che conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene. Allora la tradizione sarà vera e non un tradimento.