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XXXIII del tempo ordinario C

13 novembre 2022

 

Il tempo escatologico che la liturgia ci fa vivere, ovvero il tempo nel quale – concludendo un anno liturgico e aprendone uno nuovo – contempliamo l’avvento del Signore, la sua venuta nella gloria, e in questo cammino non dobbiamo perderci in chiacchiere o in cose di poco conto, poiché rischieremmo di sbagliare o smarrire la strada. San Paolo ce lo ribadisce in maniera evidente: chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione.

Dare del lazzarone a un bergamasco è quanto mai surreale, visto che siamo conosciuti in tutto il mondo per la grande operosità che ci distingue persino dai nostri vicini. Tuttavia l’operosità di cui parla l’apostolo non è riconducibile soltanto a una dedizione sconfinata al lavoro e non tratta neanche la questione del reddito di cittadinanza se sia giusto o sbagliato percepirlo. Per Paolo il lavoro è certamente importante, poiché egli stesso in una sua lettera dichiara di provvedere alla sua sussistenza con l’opera delle sue mani, ma vuol metterci in guardia su un’impresa che il più delle volte si affievolisce: il lavoro per il Regno di Dio.

Ciascuno di noi, da buon cristiano, è chiamato a lavorare per il Regno, contribuendo all’evangelizzazione con una vita quotidiana e con la propria testimonianza. Ce lo chiede Gesù, ricordandoci però che, allora come oggi, testimoniare il Vangelo con la propria fede porta ad aver paura, timore, vergogna. Facciamo fatica noi adulti a professarci cristiani, figuriamoci i nostri ragazzi e giovani. Eppure – non dimentichiamolo – tradizione e tradimento hanno la stessa radice: tramandare la fede, ovvero lavorare per il Regno di Dio, non è per niente facile e spesso la tradizione si interrompe perché ci limitiamo a tramandare cose da fare, detti imparati, eventi annuali che ci interessano; ma queste cose sono intrise di fede o solo di noi stessi? Ecco allora dove sta il tradimento: chi chiede il dono della fede per proprio figlio o propria figlia con il sacramento del Battesimo e poi poco se ne cura di alimentarla con la preghiera, la partecipazione all’Eucaristia, la catechesi, la vita cristiana stessa, non sta forse tradendo i figli per i quali si era impegnato a sostenerli nel cammino di fede insieme ai padrini e alla madrine? O forse i tradimenti nei confronti dei figli sono solo relegati al fatto di non aver adempiuto la promessa del regalo che con insistenza hanno chiesto?

Gesù aveva previsto tutto? «Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». Sapeva già che avremmo promesso la fede e forse non l’avremmo adempiuta?

Perseverare: è un verbo potente che mette alla prova la nostra forza. Nessuno vorrebbe essere etichettato come fannullone, schiappa, buono a nulla; ci sentiremmo avviliti, schiacciati, inutili, denigrati. E allora perché non accogliere la sfida e anziché farci vedere forti solo con i muscoli non ci mostriamo anche forti nella fede, perseveranti nella preghiera quotidiana e nella Messa domenicale? Perché non essere partecipi della catechesi e attivi nella vita cristiana? Forse che questo non ci fa apparire forti agli occhi del mondo di oggi? Anche su questo Cristo aveva anticipato i tempi: «Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere».

Abbiamo paura di essere additati, sì confessiamolo, abbiamo paura. Ma vale di più la pena gioire davanti a Dio per ciò che Egli ci dona grazie alla nostra fede, o seguire la massa solo per accontentarci di essere un numero in mezzo a tutti? Io piuttosto che rispondere a questa domanda in modo affrettato, preferirei elevare a Dio ciò di cui abbiamo bisogno e che il Curato d’Ars definiva unione intima con Dio come due pezzi di cera fusi insieme: la preghiera.

O Dio, principio e fine di tutte le cose,

che raduni l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio,

donaci di tenere salda la speranza del tuo regno,

perché perseverando nella fede

possiamo gustare la pienezza della vita.

Amen.