III di Avvento A

11 dicembre 2022

 

Che ansia. Arriva il giorno dell’interrogazione. Chissà quali domande farà, chissà se sarò in grado di rispondere. Chissà…

È ora, speriamo non ci sia, speriamo arrivi il bidello a dire che non c’è per un malessere…

No, c’è! È arrivato il momento. «Tu, interrogato. Vieni alla lavagna!».

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta».

Ecco il classico insegnante che fa le domande e si da anche le risposte. Posso avere almeno il tempo di riflettere? Posso cercare di capire la domanda?

Gesù interroga i suoi ascoltatori per verificare cosa avessero capito di Giovanni Battista, il quale a sua volta aveva mandato i suoi messaggeri per interrogarlo se fosse lui il Messia o dovevano aspettarne un altro. Diciamo che la risposta di Gesù non è stata secca, ma ha messo davanti ai discepoli del Battista la realtà dei fatti: ciechi che vedono, sordi che odono, muti che parlano e storpi che camminano: insomma un nuovo tempo, una novità assoluta. La risposta a quell’interrogativo veniva proprio da ciò che essi potevano vedere davanti a loro. Non c’era nemmeno bisogno di fare delle ricerche: era tutto molto evidente.

Di fronte all’evidenza, però, noi rischiamo di gettare la spugna, di ritenerci soddisfatti, tranne quando c’è una notizia curiosa e vogliamo approfondire continuando a porre interrogativi.

È quanto dobbiamo fare: non smettere mai di interrogare il Signore lasciandoci interrogare da Lui. Certamente, è scontato: lui ha già la risposta. Mediante la preghiera possiamo interrogare il Signore sulla nostra esistenza. Suona strana la cosa, eppure siamo chiamati a rivestire i panni di quegli studenti che interrogano i professori chiedendo loro di spiegare un argomento non compreso. Forse siamo di quelli che hanno già capito tutto a riguardo di Cristo? Non dobbiamo chiedere niente? Sulla fede siamo preparatissimi? Se ci chiedessero cos’è, cosa risponderemmo?

Ecco che quando ci addentriamo in domande complicate allora ci rendiamo conto di non essere preparati al meglio e che qualche domanda al Signore sarebbe meglio porla ancora. Siamo razionali, calcolatori, poniamo le nostre basi sul sapere scientifico: la fede ci trova impreparati?

E a proposito di ciechi, sordi, zoppi, malati in genere, ecco che un uomo, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, nella Napoli del colera e dell’eruzione del Vesuvio, comprese che la sua vocazione era a servizio degli ammalati, quelli che vedeva fin da ragazzo dalla finestra di casa sua guardando l’ospedale di fronte. Giuseppe Moscati, un medico che ha saputo coniugare la fede con la scienza, che non ha riposto nella scienza tutto il suo sapere, ma ha fatto della fede la sua prima medicina contro la peste più pericolosa: l’indifferenza verso Dio e verso i malati. Egli scriveva: “Ricordatevi che, seguendo la medicina, si assume la responsabilità di una sublime missione. Perseverate, con Dio nel cuore, con gli insegnamenti di vostro padre e di vostra mamma sempre nella memoria, con amore e pietà per i derelitti, con fede e con entusiasmo, sordo alle lodi e alle critiche, fermo nell'invidia, disposto solo al bene. Che cosa possono fare gli uomini? Che cosa possono opporre alle leggi eterne della vita? Ecco la necessità del rifugio in Dio. Ma tuttavia noi medici dobbiamo cercare di alleviare la sofferenza. Non dimenticate di alimentare l'anima col ricevere nostro Signore nella Santa Comunione, così come alimentate – ed è vostro imprescindibile dovere – il corpo”. Parole che dette da un medico ci fanno pensare: proprio chi poteva basarsi sulla scienza e niente più, invita noi a interrogarci su cosa possiamo fare senza Dio e a capire che la risposta è: nulla. Nulla possiamo senza la nostra fede in Dio. Potremo anche essere medici, scienziati, capaci di ogni cosa, ma il bisogno di Dio è più forte di ciò che può fare l’uomo. Quasi a dirci che anche lui, ottimo medico da tutti stimato, poteva fare molto per alleviare le malattie del fisico, ma chi cura l’anima è proprio Dio.

A noi non resta che sentirci chiamati in causa, se non proprio alla lavagna, per lasciarci interrogare dal Signore, nostro medico, che sana le ferite, allevia le sofferenze, è venuto nel mondo per salvarci dal peccato e dalla morte, soprattutto quella dell’anima che crede di poter tutto senza Dio.

Che cosa siete andati a vedere nel deserto? – chiede Gesù a riguardo del Battista –. E noi che cosa siamo venuti a vedere in chiesa? Che cosa siamo qui a fare? Ce lo siamo mai chiesti? Ci siamo mai interrogati perché abbiamo bisogno della fede in Dio? Forse la risposta ce la da il Signore, quando all’obiezione dei farisei che lo criticavano per essersi seduto a tavola con i peccatori, rispose: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,12-13). Ecco, siamo noi, Signore, quei malati che hanno bisogno di te, siamo noi quegli alunni che si interrogano sul bisogno di Dio, siamo noi quei discepoli che fanno fatica a rispondere alle domande più impegnative della vita e della fede; ma siamo qui: interrogaci, perché le tue domande diventino in noi un continuo interrogativo che trova risposta solo in te, che sei il Maestro, nostra via, verità e vita.