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III di Avvento A

11 dicembre 2016

Dopo averci detto di convertirci perché il Signore è vicino e dopo averci ordinato di preparare la via al Signore che arriva, Giovanni Battista manda suoi messaggeri a chiedere al Signore se è proprio lui Colui che il mondo sta aspettando o ce n’è un altro. Gesù attraverso questi messaggeri risponde in modo strano: non dice semplicemente «Sì, sono io», ma comanda ai suoi messaggeri di rispondere a Giovanni riferendogli ciò che vedono, ovvero che i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. Una risposta che Gesù prende dalle Scritture, dal profeta Isaia: Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. E questo non è un caso. Stiamo bene attenti: Isaia parla al futuro, Gesù al presente. Cosa significa? Semplice: quella parola annunciata dai profeti ora in Gesù si è attuata. Ed è una cosa, questa, che non può non essere annunciata a Colui che, rendendo il messaggio del profeta attuale, ha preparato la via del Signore, quella via che Isaia chiama Via santa. Una strada che non possiamo non percorrere. Una strada stretta perché è quella del coraggio, della speranza, della gioia, della costanza. Una strada sulla quale non si accettano lamentele, come scrive l’apostolo Giacomo: Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati. In questa nostra società, ma anche in questa nostra comunità, dove spesso non ci si sopporta, dove spesso quello che fanno gli altri non va mai bene, dove si vuole essere padroni delle strutture e della vita stessa del paese, la strada per il Signore che viene a visitarci non è ancora pronta e non può essere chiamata “santa”. La via santa è quella percorsa dai piedi del messaggero di buoni annunci, messaggero di parole belle e non sempre di parole piene di cattiveria, messaggero che attraverso le sue parole annuncia la parola di Dio che unisce e non divide; come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, troviamo scritto in Isaia (Is 52,7). E Giovanni Battista è sicuramente la figura di un messaggero che attraverso i suoi piedi ha annunciato la conversione con toni forti e la annuncia anche a noi oggi che spesso abbiamo piedi che puzzano di rancore, di rabbia, di gelosie che portano alle continue lamentele. Egli è colui che vuole aiutarci ad accogliere il Signore cambiando il nostro cuore, vuole fare di noi messaggeri di pace, quella pace che Cristo è venuto a portare sulla terra. Giovanni Battista, oltre ad essere la figura dell’ultimo profeta dell’antico testamento e primo del nuovo, viene chiamato da Gesù stesso – citando ancora Isaia – il “mio messaggero” inviato a preparare la sua venuta. È colui che attraverso la sua parola ha reso i cuori pronti ad accogliere il Messia inviato dal Padre a rivelarci il suo volto. Giovanni diventa quindi la figura di tutte quelle persone che si prendono cura dell’educazione del prossimo che, attraverso la loro parola e la coerenza di vita, insegnano la strada giusta da seguire. Esempio di questi educatori non possono che essere gli allenatori dei ragazzi, che attraverso lo sport insegnano la lealtà, il gioco di squadra contro l’egoismo di chi vuol far tutto da solo, insegnano il rispetto dell’avversario e la puntualità agli impegni presi. Non sono forse tutti valori che impariamo dalla Parola di Dio e che si dispiegano nella vita? Certo che sì. Nell’educatore non deve mai venir meno la fermezza e la costanza di essere quel messaggero che insegna valori grandi e non contrari alla buona crescita di chi viene educato. Per questo chi è educato deve riconoscere il grande lavoro educativo che ci sta dietro e chiedere “per favore”, perché tutto ciò che riceve non gli è dovuto e proprio per questo ciascun adulto che sa di avere questo ruolo importante non deve mollare la presa, ma deve piuttosto, come Giovanni il Battista, insistere perché il messaggio evangelico passi nei diversi ambiti di vita. Chiedere all’altro che “per favore” ci faccia un piacere significa educarci a rispettare l’altro e i suoi tempi, le sue qualità, le sue capacità senza pretendere nulla. Allora tutti ci educheremo a mettere in pratica il Vangelo che ci educa a trattarci da fratelli e non come oggetti pronti all’uso.