Natale 2016

Carissimo Gesù Bambino,

non ti sorprendere se anche quest’anno siamo qui, davanti a te. Desideriamo ascoltare i tuoi vagiti. Ma come potremo farlo se le nostre orecchie sono chiuse e il nostro cuore immerso nei suoi pensieri? Ti guardiamo. Sei lì, nudo, adagiato in quella culla. Vorremmo coprirti con le nostre parole, ma solo fissandoti con uno sguardo profondo capiamo che anche noi dobbiamo spogliarci di quelle parole che non ci permettono di entrare in comunicazione con te e con ogni fratello. Vorremmo scaldarti con tenere parole, affinché tu non prenda freddo, ma scopriresti che talvolta le nostre parole sono più fredde di quella gelida paglia sulla quale tua madre ti ha adagiato. Sì, Bambino, non sei tu ad aver bisogno delle nostre parole, ma è la nostra vita che ha bisogno delle tue. Troppo spesso non riusciamo a parlare, siamo bloccati ancora dalle solite vecchie storie. Facciamo fatica a dirci come la pensiamo, a metterci d’accordo per cose da niente, a scambiarci un semplice saluto. Eppure, Bambino, non ti nascondiamo che appena usciti da questa chiesa sulle nostre labbra affioreranno abbondanti auguri, le nostre mani si stringeranno e non saremo restii a qualche abbraccio. Peccato però che questo non avverrà con tutti, ma solo con le persone che vogliamo, mentre gli altri, quelli che non sopportiamo, non riceveranno i nostri auspici per un Santo Natale. Ma quale santo… Non riesco ancora a capire, Bambino, con che coraggio desideriamo scaldarti in questa gelida notte, se non riusciamo a scaldare un po’ il nostro cuore rendendolo meno ipocrita, meno indifferente, meno arrogante. Non capisco proprio come potremo guardarti in faccia e scoprire quanta tenerezza c’è in te e non restarne contagiati. Anche il nostro cuore è un po’ come il cuore dei due discepoli di Emmaus. Ti ricorderai sicuramente quando la sera di Pasqua affiancandoti a loro, hai posto la domanda: «Di cosa stavate parlando lungo il cammino?». Non l’avessi mai fatto. Un fiume in piena di parole ti hanno sommerso: parole piene di rabbia, di delusione, di amarezza per quello che si aspettavano da te e che invece non hai compiuto secondo le loro attese. Ma la cosa interessante è che non si erano nemmeno accorti che stavano parlando con colui che era il motivo delle loro delusioni. Non sorprenderti, Bambino, noi uomini siamo fatti così. Siamo volenterosi, generosi, solidali, ma sulla parola abbiamo ancora molto da imparare. Anche nel mio paese succede questo: nei bar si spettegola, al mercato c’è occasione per parlar male, nei negozi è un tripudio di giudizi e di cattiverie. Eppure, in questa Notte, chissà perché, sembriamo noi quegli angioletti che con soavità celestiale hanno portato il lieto annuncio ai pastori. Ma la realtà è ben altra. Abbiamo bisogno di te, abbiamo bisogno delle tue parole che troviamo nelle Scritture, quelle che tu stesso, Parola di Dio fatta carne, hai spiegato ai due delusi, tuoi discepoli. Abbiamo bisogno di imparare sempre più e sempre meglio le tue parole, perché le nostre parole siano buone come le tue, siano belle come bello è il Vangelo che hai incarnato in te. E se la parola Vangelo significa “Bella Notizia”, mi chiedo: perché le nostre parole non possono diventare belle notizie, buone parole, Vangelo di oggi? Basterebbe solo un po’ di buona volontà e un ascolto maggiore delle Scritture, ma – diciamo – di non aver mai tempo. Ho cercato di pensare a coloro che potrebbero essere al giorno d’oggi le persone che spiegano le tue Scritture, che insegnano la tua Parola, che ci aiutano a parlare come te. Mi sono venuti in mente i nonni, nostri patriarchi: loro, poveretti, ce la mettono tutta, non smettono mai, ad esempio, di consigliare ai nipoti di tornare da te ogni domenica nella Messa e non solo una volta all’anno, in questa notte, ma non vengono ascoltati, perché le orecchie dei giovani sono così superbe da non aver bisogno dei consigli dei più anziani. Poi ci sono i catechisti, che come i profeti hanno accolto l’invito a comunicare la tua Parola e a trasmetterla attraverso svariati modi, ma non sempre sono sostenuti dalle famiglie, spesso devono alzare la voce per la maleducazione dei ragazzi, molte volte sono “bidonati” dagli adolescenti stessi. Comprendo bene che non è facile e soprattutto non è nemmeno soddisfacente annunciare il Vangelo in queste condizioni. Ci sono anche gli educatori, gli insegnanti, gli allenatori che da buoni messaggeri potrebbero trasmettere il tuo Vangelo, ma la società di oggi glielo impedisce e spesso anche il loro disinteresse verso di te è quanto mai elevato; anziché insegnare parole buone che trasmettano i grandi valori, quali la giustizia, l’onestà, la collaborazione, il gioco di squadra, insegnano l’opposto, trovando magari nei genitori a bordo campo un valido altoparlante per rincarare la dose di parolacce e insulti da scagliare contro gli avversari, gli arbitri e gli insegnanti stessi. Ah, Bambino, i padri del giorno d’oggi. Sono bravi, amorevoli, come sicuramente lo sono stati i tuoi genitori: Maria e Giuseppe. Ma quanti di loro sono attenti a trasmettere la fede ai propri figli fin da piccoli? Quanti non aspettano l’età della materna per parlare di te, anziché relegare volentieri la questione alle insegnanti? Quanti di loro hanno il coraggio di mettersi in gioco e anziché insegnare a dire solo “Mamma” e “Papà” insegnano che abbiamo un Dio che ci è Padre e ha cura di tutti noi fino al punto di donare per noi suo Figlio? Quanti genitori insegnano parole buone e attraverso i loro “Sì” e i loro “No” indicano la via giusta da seguire, lasciandosi ispirare da te? Faccio fatica, Bambino, a trovare un mondo dove venga insegnata la verità. Trovo, invece che sia più comodo lasciar fare, meno disturbante il non impicciarsi dell’educazione altrui e sia più ricercato il pensare ognuno ai fatti propri. Cosa ne sarà, Bambino, di questo vecchio mondo, lo chiedo a te. Abbiamo urgente bisogno di imparare a usare parole buone, parole belle, parole semplici, quali: “Grazie”, “Scusa”, “Per favore”, “Posso?”, “Prego”. Solo così assaporeremo la gioia dello stare insieme senza alcuna pretesa, senza sentirci padroni degli altri, senza dar tutto per scontato come se tutto ci fosse dovuto. Ti prego, Bambino, continua a spiegare anche a noi le Scritture; fai con noi come hai fatto con i due discepoli sulla via per Emmaus: non stancarti di parlare al nostro cuore e qualora lo trovassi un po’ indurito per via delle troppe cattiverie che anche in questi giorni circolano da un labbro all’altro, tu non smettere di ricordarci che solo con le buone parole cambieremo questo pesante e affannato mondo. E se vedrai che non riusciremo a fare a meno di parole cattive, stupide, senza senso, insegnaci a tacere, per ascoltarti di più e parlare meglio.

O Signore, se il mio Natale sarà fatto di silenzi, preoccupazioni e spine nel mio fianco, lascia che almeno a te dica:

Buon Natale, Bambino.