III di Pasqua A

Domenica della Riconciliazione

23 aprile 2023

 

Pietro, sia nel suo discorso alla folla che nella sua lettera, parla di libertà. Egli dice: «Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l'avete crocifisso e l'avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere». A queste sue parole fanno eco quelle che scriverà più avanti: Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia.

Nel discorso tenuto sulla piazza il soggetto è Cristo, mentre nella lettera che scrive sono i primi cristiani di allora. Quindi, a conti fatti, ciò che prima disse a riguardo di Cristo, oggi è rivolto a noi. Siamo noi ad essere stati liberati dalla vuota condotta di cui parla, per mezzo della Risurrezione di Cristo che Dio ha liberato dalla morte, perché era impossibile che la morte lo tenesse in suo potere.

Se ciò che era vero per i primi cristiani è vero anche per noi oggi, questo significa che veniamo liberati dal potere della morte causata dai nostri peccati. E quale strumento ci ha donato Cristo per liberarci dal peccato e dalla morte se non ciò che del Battesimo è la continuità? Il sacramento della Riconciliazione, o Confessione che dir si voglia, ci libera in continuazione dal peccato che impoverisce la nostra vita. Il vero soggetto di questa azione non siamo noi, ma è Cristo, poiché noi siamo solo l’oggetto; Egli libera, noi siamo i liberati.

Questo discorso, potremmo dire, venne affrontato anche quel tardo pomeriggio di Pasqua, quando i due discepoli di Emmaus si trovarono a camminare verso casa in compagnia di un forestiero, che sembrava non avesse mai sentito parlare dei fatti di Gerusalemme, «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute». Aspettavano la libertà dal dominio straniero e non avevano compreso il prezzo della libertà che Cristo aveva pagato sulla croce, come non capivano la meravigliosa notizia della Risurrezione. Infatti, raccontando per filo e per segno quanto accaduto la mattina di quel giorno santo, dissero al viandante: «Alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». La tomba era stata liberata dalla morte, ma non potevano credere a ciò, perché otturati dal loro pensiero di libertà, un pensiero politico e non di salvezza. Doveva scuoterli Cristo, doveva dar loro degli stupidi e parlare delle Scritture per scaldare il loro cuore e renderli consapevoli che la libertà che si aspettavano non aveva nulla a che vedere con quella recata all’umanità dal crocifisso-risorto.

Oggi noi potremmo chiederci: se la libertà dalla morte che Cristo ci ha acquistato con la sua morte e risurrezione ci libera dal nostro peccato, a cosa serve confessarsi? Non ci ha già pensato lui una volta per tutte? È una domanda retorica, di fatto, perché la risposta l’abbiamo già formulata nella domanda. Confessarsi non significa andare dal sacerdote una volta sola a raccontargli le nostre marachelle, i nostri sbagli, il nostro peccato come se lui fosse lì apposta per farsi gli affari nostri; non significa nemmeno andare da una persona solo per svuotare la nostra coscienza condividendo i nostri peccati e quelli altrui. Accostarsi al sacramento della Confessione ci permette di fare ciò che i due discepoli di Emmaus hanno inconsciamente fatto: Cristo risorto ha destato in loro il desiderio di tirar fuori le amarezze interiori, perché le consegnassero a Lui che con la sua grazia ha cambiato in possibilità. Se prima erano così ottenebrati dalla loro presunzione di sapere già tutto sul Cristo, il dialogo col Risorto ha cambiato il loro modo di vivere, di pensare, di agire. Erano in viaggio verso casa pieni di angoscia, rabbia e delusione; tornarono a Gerusalemme pieni di gioia. Potremmo azzardare a dire che quella dei discepoli di Emmaus è stata la prima Confessione della storia dell’umanità redenta.

Ogni volta che ci accostiamo alla Confessione dovremmo avere la stessa sensazione: portare a Cristo, nella figura del sacerdote, i nostri peccati, elevare a Lui la nostra preghiera di pentimento e accogliere il suo perdono che ci libera dal male e dalla morte del nostro spirito. Questo però non può avvenire una volta per tutte.

Come pregare, allora, pensando alla Riconciliazione? Con umiltà, la stessa che porta al pentimento, per svuotare i nostri sepolcri e lasciare che Cristo riempia di gioia la nostra vita, la gioia del perdono che doneremo anche ai nostri fratelli. La fede ci porta anche a questo: lasciarci perdonare da Dio, per diventare capaci di perdono. Sempre non una volta per tutte.

E quando ci verrà in mente che confessarsi non serve, perché siamo apposto con Dio e con il mondo, facciamoci due risate, ma riflettiamo anche, attraverso questo tanto celebre, quanto significativo racconto.

Don Camillo era stato chiamato prima ed era corso subito perché sapeva che oramai era questione di ore, e aveva trovato un grande letto bianco con dentro una vecchina così piccola e così magra che pareva un bambino. Ma non era affatto svanita, la maestra vecchia, e, appena intravide la grossa massa nera di don Camillo, fece un risolino.

«Vi piacerebbe, eh, che adesso io vi confessassi che ho fatto un sacco di porcherie! E invece niente, caro il mio signor parroco. Be': vi ho chiamato perché voglio morire con l'anima pulita, senza rancori. Perciò vi perdono di avermi rotto il vaso di gerani».

«Vi perdono di avermi chiamato "prete bolscevico"», sussurrò don Camillo.

«Grazie, ma non ce n'era neanche bisogno» ribatté la vecchina. «Perché nelle cose conta lo spirito col quale sono fatte e io vi dicevo del prete bolscevico così, come dicevo dell'asino al sindaco Peppone. Senza intenzione di offendere».

Don Camillo con dolcezza cominciò un lungo discorso per far capire alla signora Cristina che quello era il momento di abbandonare ogni umana prosopopea, anche la più piccola, perché, per avere la speranza di andare in Paradiso…

«La speranza?» lo interruppe la signora Cristina.

«Ma io ho la sicurezza di andarci!».

«È questo un peccato di presunzione» disse dolcemente don Camillo. «Nessun mortale può avere la sicurezza di aver vissuto sempre secondo le leggi di Dio».

La signora Cristina sorrise.

«Nessun mortale eccetto la signora Cristina» rispose. «Perché alla signora Cristina questa notte Gesù Cristo è venuto a dire che lei andrà in Paradiso! Quindi la signora Cristina è sicura. A meno che non ne sappiate più voi di Gesù Cristo!».