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Ascensione del Signore A

Domenica della Sacra Unzione

21 maggio 2023

 

Nel suo racconto indirizzato a Teofilo, che significa “amico di Dio”, e quindi indirizzato a tutti coloro si dichiarano figli di Dio più ancora che semplici amici, l’evangelista Luca, scrivendo il libro degli Atti degli Apostoli, narra dell’evento singolare dell’Ascensione del Signore avvenuta dopo la Risurrezione. Così annota: Egli [Cristo] si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. 

Non può che narrare le cose di Dio per coloro che si interessano a Dio, per quanti si definiscono Teofili e per coloro che si gloriano di esserne figli.

Eppure, proprio negli apostoli, non c’è solo una meraviglia per quanto accaduto, ovvero per la Risurrezione, e per quanto stava per accadere, cioè l’Ascensione al cielo del Signore; tra loro serpeggia ancora un po’ di incredulità, come narra l’apostolo Matteo: In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Tutto molto comprensibile da un punto di vista umano. Non è scontato credere in colui che hanno seguito per circa tre anni, del quale si sono fidati, che ha compiuto tanti segni e prodigi, ma che poi hanno visto appeso ad una croce e risorto da morte. Se non è stato facile per loro che l’hanno incontrato, conosciuto e con il quale hanno condiviso la vita di ogni giorno, figuriamoci per noi. L’evangelista Giovanni, nella sua prima lettera scrive: Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta (1Gv 1,1).

Udire, vedere, toccare: sono tutti verbi che stanno ad indicare il credere – come già detto la mattina di Pasqua – e manifestano la fede in Colui che Dio ha mandato per rivelare il suo volto.

È Paolo che dice a noi oggi, come ai cristiani di Efeso allora: Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l'efficacia della sua forza e del suo vigore.

La fede non è certamente una cosa da poco, tanto da portare molte persone di oggi ad abbandonarla o a metterla da parte restando indifferenti di fronte a quel tesoro di gloria di cui ci ha parlato l’apostolo. Questo per dire quanto siamo ancora legati alle cose della terra, quanto diamo credito a ciò che interessa la nostra vita, alle notizie di ogni giorno senza porci la questione della loro veridicità; gli stili di vita nelle famiglie come nei nostri ragazzi assumono i connotati di ciò che passa il tempo e il mondo, lasciandosi attirare da ciò che sembra più normale, come mi ha testimoniato un ragazzetto quando l’ho messo davanti alla sua insipidezza nel trattare un dialogo, un ragionamento, un discorso: spalle scrollate, indifferenza sul volto nell’accettare un insegnamento o a una correzione benevola; ed ecco la risposta: «Ma noi oggi facciamo così». Ecco, se trattiamo le persone, le cose, la vita con tanta superficialità, come tratteremo le cose di Dio che neanche ci toccano, o almeno così sembra? Cosa è della nostra fede che non si vede?

Eppure è la fede che cambierà il mondo, la fede in Cristo Risorto che permetterà a noi di risorgere dopo la nostra morte per una vita nuova e già su questa terra ci permette di godere la pienezza della gioia che solo Dio ci dona. Chi di noi se ha un tesoro non lo custodisce gelosamente? Eppure quel tesoro di gloria, che è la fede, racchiuso in noi, fatichiamo a conservarlo.

Trovo invece una forte consapevolezza di avere questo grande tesoro in coloro che, avanzando in età, rileggono la propria vita alla luce di Dio, proprio come ci ha ricordato Paolo: Il Padre illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati. Quale speranza può esserci in una persona che è ammalata ed è consapevole di camminare verso la morte? Quale speranza può esserci in chi vede la propria vita entrare nell’ultimo tratto di strada? Eppure, mi commuove sempre la fede con la quale anziani o ammalati, anche terminali, ricevono la santa Unzione non come olio della morte, ma della vita; mi commuove la fede di una persona che, giungendo al suo letto per ungerla con il santo olio, mi prende le mani e me le bacia, perché – mi dirà un’altra volta compiendo lo stesso gesto – «queste mani stringono il Signore». Ecco il vero tesoro della nostra vita. Come posso io non condividere con il mondo di oggi questa esperienza che non solo mi commuove, ma rende salda la mia fede, mi fa capire che solo attraverso la fede e la preghiera si vincono le sofferenze, si alleviano le preoccupazioni, si ridà senso alla vita, ben sapendo che Dio sa agire anche là dove nessuno potrebbe farlo.

E noi cosa facciamo? Ci perdiamo ancora nelle debolezze di ogni giorno, nelle indifferenze quotidiane, tra le spalle scrollate, tra le liti, gli antagonismi, le fazioni e le subdole trame?

Abbiamo bisogno di tornare a Dio tornando alla fede e alla preghiera. Come pregare? Ce lo insegna Bernardino: Se ti comporti con buona intenzione, tu preghi con operosità. Mentre lavori puoi pregare anche senza accorgerti. Se lavori bene preghi comunque; se preghi solo con la bocca non ti servirà: devi farlo con il cuore.