V di Quaresima A

2 aprile 2017

Che il Vangelo non sia un semplice giornale di cronaca è dimostrato. Un qualsiasi giornale di cronaca o di gossip avrebbe subito riportato l’immediata intervista al morto risuscitato, sommergendo Lazzaro di domande sull’oltre tomba e cosa si provi a ritornare in vita. E invece non troviamo nessuna di queste cose nel Vangelo, ma semplicemente la parola di Gesù che ai presenti dice: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Questa espressione non è altro che la sintesi più bella di quanto è accaduto, il titolo più bello di qualsiasi articolo di giornale che avrebbe voluto narrare la cronaca di quella giornata. “Liberatelo”: è Gesù ad aver liberato Lazzaro dalla morte chiamandolo dalle tenebre della tomba alla luce della vita. E quel “Lasciatelo andare” sembra proprio un invio in missione perché egli proclami le opere di Dio. Infatti Gesù stesso, sapendo della malattia di Lazzaro, disse ai suoi: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Vuole liberarlo dai pettegolezzi, desidera che Lazzaro sia lasciato andare e non sia ossessionato dalle tante domande. Ma soprattutto vuole che attraverso questo segno venga glorificato Dio che agisce nell’uomo come agirà nel Figlio suo. La resurrezione di Lazzaro, infatti, non è altro che l’anticipazione di quanto avverrà nella Pasqua, ma con una differenza: Lazzaro è risorto perché gli uomini potessero credere alla potenza di Dio e potessero credere che Dio può ridonare la vita dopo la morte, anche se sicuramente Lazzaro doveva concludere questa sua vita terrena una seconda volta; in Gesù Cristo, invece, la vita non avrà più fine, perché Egli morirà una volta per tutte e una volta per tutte risorgerà donando a noi la fede nella risurrezione e nella vita eterna che ci ha spalancato attraverso la sua morte e risurrezione. Questo è il cuore della nostra fede. E perché noi possiamo credere in questo occorre che la nostra fede abbia radici che vanno a pescare nel profondo la linfa vitale perché sia viva. Solo in un terreno buono, irrigato dalla grazia di Dio e concimato dalla sua Parola, la nostra fede, la nostra stessa vita potrà trovare nel Signore motivo di esistenza. Come le spighe: senza le radici che si affondano in profondità nel terreno, non potrebbero esistere, non potrebbero vivere, non potrebbero maturare portando così sulle nostre tavole quel pane da spezzare che è la condivisione, l’amore, l’affetto fraterno. Condivisione, amore e affetto fraterno che scaturisce in noi grazie al pane spezzato di cui ci nutriamo alla mensa eucaristica. Ma perché ci sia quel pane occorre il buon grano della perseveranza. Sì, occorre essere forti nella fede, saldi nel credere che Cristo è la risurrezione e la vita, come lui stesso si definì a Marta, sorella di Lazzaro. E per annunciare questa verità di fede occorre che essa si esprima anche nelle opere mature, come il grano, perché attraverso le nostre opere buone, coloro che vedono noi possano rendere gloria al Padre che è nei cieli. Ce lo ha insegnato Gesù attraverso la Risurrezione di Lazzaro. Infatti, come narra il Vangelo, “molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui”. Che bello se questa espressione potesse oggi essere riferita a noi; che bello se molti guardando alla nostra maturità nella fede e nella carità potessero credere più fermamente nel Signore. Certamente non è semplice conciliare fede e carità, colonne portanti del nostro essere cristiani, ma una fede che non si manifesta nelle opere non è vera: sarebbe un po’ come conoscere la teoria ma non saper giungere alla pratica. Del resto una carità senza fede è fine a stessa, è fatta solo per un tornaconto. La fede nel Signore, che ha il potere di vincere la morte e ha la forza di vincere la morte del nostro cuore troppo spesso atrofizzato, ha bisogno di perseveranza, di costanza, di tenacia. Non possiamo lasciarci vincere dalla mollezza nella fede, quella che ci porta a imprecare contro Dio: «Se tu fossi stato qui», perché una fede spenta non ci permetterà mai di vedere Dio presente al nostro fianco anche nei momenti più duri; non permettiamo alla nostra vita di chiudersi in se stessa, come era chiuso Lazzaro in quel sepolcro dal quale usciva già puzza di morte. La vita chiusa in se stessa puzza di morte, puzza di egoismo, puzza di qualunquismo e di mediocrità. La risurrezione ci permette di spalancare il cuore alla vita, all’aria nuova, al vento dello Spirito che soffia e agita quelle spighe che biondeggiano al sole: sono le spighe di una vita davvero matura che si lascia trasportare non dal vento della massa, del “così fan tutti”, ma dalla voce dello Spirito, che non solo ci permette di rinascere a vita nuova, ma ci consente di rendere gloria a Dio che opera meraviglie nell’uomo attraverso una vita nuova. Non chiudiamoci nei sepolcri dell’interesse su noi stessi, ma affondiamo le nostre radici in Gesù Cristo e da lui nutriamoci di perseveranza per non smettere mai di annunciare che Cristo è la vita e la vita è ciò che di più bello Dio ci ha donato per spenderla al meglio, mettendola a servizio degli altri, della comunità, della società, per rendere questo mondo non un cimitero, ma un campo biondeggiante di grano, di cose belle e di cose buone. Perché questo mondo non è una necropoli, ma è il campo di Dio.