IV di Pasqua B

Domenica dell’Eucaristia

21 aprile 2024

 

Pietro, colmato di Spirito Santo, si rivolge alla comunità con parole dure: dopo aver sanato un paralitico e averlo rialzato nel nome di Cristo, insieme all’apostolo Giovanni viene accusato dai capi del popolo e dagli anziani e proprio contro i capi del popolo e gli anziani si rivolge incolpandoli di aver crocifisso il Cristo per mezzo del quale quell’uomo è risorto, si è rialzato dalla sua infermità. Non solo: egli si scaglia contro coloro che hanno rifiutato il Cristo Risorto come pietra di fondamento senza la quale la Chiesa, così come ogni casa, non può stare in piedi. Il Cristo Risorto è la pietra sulla quale si fonda ogni comunità cristiana, il recinto nel quale il gregge è al sicuro, il corpo mistico di Cristo che ha nell’Eucaristia il suo centro di unità e di comunione. Proprio a coloro che si ergono come anziani e capi della comunità, ma sono mercenari, lo Spirito Santo parla attraverso l’apostolo Pietro e li rimprovera non solo per la loro incredulità, ma anche per la loro incapacità di guidare la comunità, a differenza di Cristo, Buon Pastore, che conosce le sue pecore e le guida, le cura e per loro dona la vita.

Che comunità è una comunità che non ha il suo fondamento nell’Eucaristia? Probabilmente è solo un agglomerato di persone, molte delle quali nostalgiche dei tempi antichi, fondata su principi che neanche prende in considerazione, attenta alle norme, proprio come quegli anziani, o a rimpiangere le chiese piene di un tempo puntando con la preoccupazione per i nipoti che non frequentano la chiesa, ma davanti all’Eucaristia è una comunità che non ci sa stare.

Quanto tempo abbiamo dato al Signore in queste giornate eucaristiche? Quanti minuti abbiamo passato in adorazione davanti all’Eucaristia in queste giornate? Ci scandalizziamo per una stupida pubblicità che ha messo patatine al posto delle Ostie consacrate, ma una comunità che non ha tempo per l’Eucaristia e non si fonda sull’Eucaristia o che corre per eventi pagani, ma non si muove per il Signore, non è una comunità cristiana. Magari è una comunità nella quale ci si abbuffa ai grassi banchetti, ma non ci si siede alla mensa eucaristica, o probabilmente è una comunità che vuole sentirsi dire dal Signore: «E tu, Cafarnao, sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai precipitata!» (Lc 10,15), che è un po’ come dire che il fuoco che ha consumato Sodoma e Gomorra era niente in confronto a quanto la comunità che non ha riconosciuto e non riconosce il Signore doveva e deve subire.

Eppure il Signore, buon pastore, non smette di offrire la sua vita nell’Eucaristia, non smette di donarsi a noi per far sussultare il nostro cuore di gioia, versando sulle nostre mani l’olio della letizia, perché il suo profumo possa spandersi in ogni casa, profumare ogni strada, impregnare ogni vestito per contagiare della gioia cristiana tutti i figli di Dio, perché i figli di Dio, sussultando di gioia per l’incontro con il Signore nell’Eucaristia, diffondano questo sentimento soprattutto a chi è provato dalla tristezza, dal vuoto e dalla sofferenza attraverso la carità fraterna. L’incontro con il Risorto presente nel mistero eucaristico fa sussultare d’amore ogni cuore, come quello di Elisabetta all’incontro con Maria, del Battista con Cristo salvatore, di ogni uomo e donna che profumano il mondo dell’amore che dall’Eucaristia promana; l’incontro con il Risorto nell’Eucaristia ci dona il buon profumo della carità di Cristo che fa sussultare per l’entusiasmo anche i cuori più spenti e apatici.

Ma cosa sarebbe la comunità senza l’Eucaristia? Cosa sarebbero i cristiani, anche quelli più bravi, anche quelli che rimpiangono i tempi delle chiese piene e dei gradini occupati da bambini, quelli che pensano di cavarsela con le nostalgie di tempi passati, cosa sarebbero quelli pieni di carità e di buoni propositi se poi nessuno di questi trova il tempo, il desiderio o la voglia di stare in adorazione davanti all’Eucaristia?

Il Cardinal Comastri, raccontando del suo primo incontro con Madre Teresa, ricorda: «L'ho vista la prima volta nel 1968 a Roma; la madre era la prima volta che veniva a Roma e apriva una casa per le sue suore tra i baraccati dell'acquedotto Felice; io allora ero vice parroco a San Luca al Prenestino. Sentii parlare di questa suora – ancora non c'era la fama che poi è venuta – però sentii il desiderio di incontrarla. Ero prete da un anno e dissi: “Vado a dire che preghi per me”. Riuscii ad incontrarla e quando ci siamo trovati a tu per tu – la madre allora era ancora abbastanza giovane – mi prese le mani, me le strinse forte e mi disse: “Quante ore preghi al giorno?”. Io rimasi un po’ spiazzato; sinceramente pensavo mi prendesse in giro. Le dissi: “Madre, dico Messa tutti i giorni, dico il breviario, tutto tutti i giorni, dico anche il Rosario tutti i giorni”.  Mi sembrava di far tanto. Lei mi disse: “È troppo poco. Nell'amore non ci si può limitare al dovere, nell'amore bisogna fare di più. Fai un po’ di adorazione ogni giorno” e aggiunse: “altrimenti non reggi”. Queste parole mi fecero paura. Io la presi sul serio evidentemente. Come risposta contro risposta dissi: “Ma madre, da lei mi aspettavo che mi chiedesse: quanta carità fai?”. La vedo ancora: mi guarda con quegli occhi penetranti che aveva e mi dice: “E tu credi che io potrei andare dai poveri se Gesù non mi mettesse nel cuore il suo amore? Pregando, Gesù mi mette nel cuore il suo amore e io vado a portarlo ai poveri che incontro. Ricordati, mi disse: Gesù per la preghiera sacrificava anche la carità per ricordarci che senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri”. Queste parole le ricordo ogni giorno: senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri».