Pentecoste B

19 maggio 2024

 

Il giorno di Pentecoste non stava per finire, ma per giungere a compimento. Il tempo della Pasqua non termina con la Pentecoste, ma con essa viene portato a pienezza, perché lo Spirito Santo effuso sulla Chiesa nascente conferma quanto è scaturito dalla Pasqua stessa: la Risurrezione, infatti, non è solo una questione riguardante Cristo, ma la Chiesa tutta che con la Pentecoste vede l’inizio della sua diffusione, mentre nella Pasqua, in quello stesso cenacolo, trova il suo principio. La Pentecoste dunque porta a compimento ciò che nella Pasqua ha avuto inizio e con la discesa dello Spirito Santo trova compimento la Parola di Cristo che, prima di tornare al Padre, disse ai suoi: «Riceverete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni in Gerusalemme e fino ai confini della terra».

Testimoniare Cristo in ogni parte della terra è ben raffigurato dal segno delle lingue: prima lingue di fuoco, poi lingue nuove attraverso le quali gli apostoli si esprimono in quello stesso giorno; la lingua di fuoco che raffigura lo Spirito, prende concretezza nelle diverse lingue parlate dagli apostoli per testimoniare a tutti il Vangelo della salvezza. Tuttavia dobbiamo ricordare che le lingue attraverso le quali viene annunciato il Vangelo sono niente se la parola non è seguita da azioni concrete. Basti ricordare quanto San Paolo scrive ai Corinzi: Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E aggiunge: La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. E conclude: Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

Le parole schiette di san Paolo ci toccano sul vivo come una spada a doppio taglio: non ci sta dicendo che non importa se non preghiamo, se non andiamo a Messa, se col Signore abbiamo un rapporto latitante, perché ciò che conta è fare il bene. No, non ci sta dicendo questo, altrimenti avrebbe scritto che importante è solo la carità. Ci ha detto che di tutte più grande è la carità, perché è la più impegnativa, la più gravosa, la più difficile da attuare, ma senza la fede che ci permette di ricevere la forza dallo Spirito, la carità non troverebbe spazio in noi, così come la speranza senza la carità non ci permetterebbe di guardare a un futuro migliore, dove non ci sono inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie – come ricorda ancora Paolo nella lettera ai Galati – ma solo amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza. La carità dunque è al centro: si alimenta con la fede e apre alla speranza.

Questo cammino lo abbiamo compiuto in questi anni in preparazione al Giubileo ormai prossimo: lo scorso anno, guardando alle sorelle Marta e Maria abbiamo riflettuto e meditato sulla fede della quale abbiamo bisogno, ma anche sull’importanza e sulla bellezza della preghiera che ci apre all’incontro con il Signore nell’Eucaristia e nei Sacramenti; quest’anno, con l’aiuto di Maria e della cugina Elisabetta, ci siamo concentrati sulla carità, coscienti che – come ci ha ribadito l’apostolo Paolo – potremmo fare tutto il bene di questo mondo, ma se non è carità vera, siamo come bronzi o cimbali che fanno chiasso, ma che lasciano il nulla. Al contrario, abbiamo imparato, sull’esempio della Madonna, ad andare verso il prossimo, ad entrare nella sua vita, a salutare come primo gesto di carità per imparare ad ascoltare le esigenze, la vita, i cuori dei fratelli, sicuri che la carità non può far altro che far sussultare il nostro cuore di gioia quando, senza tornaconto, abbiamo messo la nostra esistenza nelle mani di Dio a favore del prossimo e questo ci fa oggi esclamare, gridare, urlare a tutti parole di benedizione che lo Spirito Santo mette sulle nostre labbra e sulle labbra di ogni cristiano, parole che si trasformano in atti silenziosi e quotidiani di carità e di Vangelo.

Riprenderemo allora da pellegrini il nostro viaggio verso il Giubileo della speranza, per gridare a tutti la bellezza dell’essere cristiani che vogliono abitare la terra e renderla rigogliosa, come un giardino fiorito, come una luce nel buio della notte, come una strada che, anche se a volte dissestata, ci permette però di camminare in questo mondo con fede, mettendo umilmente in atto gesti d’amore mediante la carità, per donare a questa terra la speranza vera di tempi nuovi, di tempi belli, di tempi maturi nei quali lo Spirito Santo ci guiderà. Perché la carità non segue tanto la legge del fare, ma prima di tutto lo stile dell’essere.

Buon cammino, miei cari, verso il Giubileo, pellegrini di speranza, ovunque e con chiunque saremo.