XVII del tempo ordinario B
28 luglio 2024
Che significato ha per l’uomo il mangiare? Per alcuni è sussistenza, per altri un abbuffarsi. Per alcuni il momento più atteso della giornata, per altri quello più pesante. Per alcuni un momento per tirare il fiato, da soli, senza persone che infastidiscano, per altri un momento conviviale nel quale poter parlare, raccontarsi, dialogare. Che significato ha per noi?
Il cuore di Cristo, vedendo tanta folla, come pecore senza pastore, si commuove e anziché rimandarli a casa a stomaco vuoto decide di intrattenerli, decide – diremmo – di invitarli tutti a pranzo. Lo fa però a modo suo.
Innanzitutto chiede all’apostolo Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Già è strano il fatto che sia il Maestro a chiedere consiglio al discepolo, ma ormai sappiamo che le domande che Gesù pone servono a suscitare nel cuore di chi le riceve un qualcosa di ben preciso: il senso. Gesù non desidera ascoltare da Filippo una risposta, perché sa già che arriva la più ovvia: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gesù vuole far scaturire dal cuore dell’apostolo, come dal nostro cuore, il desiderio di Dio, il desiderio di sfamarsi di Dio, il desiderio di nutrirsi di Dio che in Cristo ci ha dato il rimedio alle tante tipologie di fame che abbiamo.
Gesù pone la domanda all’apostolo e non alla folla; non chiede loro cosa desiderano mangiare, come un qualsiasi cameriere al ristorante. Gesù prima di tutto vuole sondare il terreno nel discepolo, capire se è disposto a farsi cibo, a farsi pane, a farsi dono per gli altri. Cosa sarebbe il pane spezzato se non viene dato come dono, ma come pegno per tener buono l’altro? Facciamo così con i bambini, quando diamo loro una caramella golosa per farli star zitti, facciamo così con i ragazzi quando da mangiare diamo loro uno schermo o un cellulare davanti al quale perdesi purché stiano buoni, facciamo così anche con gli animali perché non continuino a stare ai nostri piedi mentre siamo a tavola infastidendo noi e l’ospite che abbiamo seduto accanto. Che senso ha il mangiare non è allora la prima domanda da porci, bensì: di che cosa abbiamo fame?
Ed ecco arrivare un altro apostolo, Andrea: mosso a compassione per tutta quella folla, premuroso verso quella gente o semplicemente infastidito, non ci è dato di saperlo; sta di fatto che qualcosa propone, ma sempre con la domanda di riserva sullo sfondo: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Fino a quando continueremo a puntare sulla riserva, sperimenteremo soltanto la paura di non farcela, la paura di non essere in grado davanti agli altri, la paura di non essere abbastanza per il mondo. Fino a quando non ci lasceremo andare un po’ nelle mani del Signore, fidandoci non dei suoi super poteri, ma della grazia che dal suo Cuore scaturisce, difficilmente sapremo donare tutto noi stessi, quel poco che siamo o che abbiamo; sarà più facile continuare a chiederci cosa sia ciò che siamo per tutta la gente che ci circonda, anziché affidare i nostri cinque pani e due pesci al Signore perché li moltiplichi a favore di una comunità e di una collettività che ha fame di senso, perché ha fame di Dio. E fino a quando continueremo a chiederci cosa c’entriamo noi con la fame di Dio, saremo come quegli apostoli che, attenti e premurosi, non riescono però a sganciarsi dall’idea di non farcela ad essere uno strumento nelle mani del Signore per saziare la fame di questo mondo, la fame di Dio. Forse non crediamo che anche l’impossibile diventi possibile nelle mani di Dio? Perché siamo così pessimisti?
Rispose Gesù: «Fateli sedere». Presto! Accomodiamoci anche noi. Prima chiediamoci di cosa abbiamo fame e poi chiediamo al Signore di dare senso al nostro mangiare, perché non sia un abbuffarci delle cose becere e materiali di questo mondo, non sia la stupida ricerca di ciò che sazia certe voglie corporali, ma non sfama il nostro desiderio di felicità.
Desiderare: viene dal latino e si traduce con l’espressione “puntare alle stelle”. Se nella nostra vita puntiamo alle stelle e non alle cose della terra, comprenderemo il gesto del Signore dello spezzare il pane per saziare la fame dell’uomo. Se desideriamo per noi cose grandi nella vita, lasciando perdere quelle che passano come un temporale o un’onda sul mare, non solo capiremo di cosa abbiamo fame, ovvero cosa desideriamo, ma diventeremo capaci di spezzare il pane per i fratelli, aiutandoli a trovare il senso di felicità che cercano nella vita quotidiana, nelle relazioni importanti e non banali, nella ricerca di un futuro che abbia una realizzazione e non il vivere alla giornata vedendo cosa passa.
Desideriamo Cristo, pane vivo e vero, e troveremo saziata anche la nostra fame per aiutarlo a saziare quella dei fratelli, coscienti che Cristo non sfamerà ciò che di materiale e inconsistente pensiamo di desiderare, ma ciò che il nostro cuore custodisce nel profondo e che solo Dio conosce.