XXXIII del tempo ordinario A

19 novembre 2017

In un mondo come il nostro affascinato dalla bellezza o tremendamente catturato dal fascino, l’apparenza e l’apparire contano più dell’essere. Gli adolescenti e i giovani vanno in crisi per un brufolo sulla faccia, ore e ore davanti allo specchio per riconoscersi, accettarsi e trovare la soluzione per farsi accettare e per sentirsi apprezzati. L’immagine dell’uomo e della donna che ne traspare dai mezzi di comunicazione sociale punta tutto sull’apparenza e il fascino. Anche il fatto che l’Italia non giochi ai mondiali del prossimo anno in Russia appare un dramma legato più alla figuraccia che facciamo davanti alla sfera mondiale che non altro, dimenticandoci che i veri problemi del nostro paese non sono quelli di una sfera di gomma presa a calci per miliardi di soldi, ma un popolo che non trova più se stesso, i valori veri della vita, le cose importanti che caratterizzano la famiglia, la fede, la vocazione stessa di ogni ragazzo che vorrebbe essere la star di turno e cade in depressione perché non riesce a perseguire un effimero sogno. E la società non aiuta di certo, spesso la famiglia stessa non aiuta: puntiamo a fare dei nostri ragazzi dei piccoli campioni andando in cerca della squadra più forte che li lanci nel mondo dello sport non per passione ma per gloria. E ci ritroviamo nello stato attuale, con ragazzi non contenti, che fanno una fatica boia per stare al passo con i tempi che diamo loro, perché li vogliamo vedere ai vertici delle classifiche e non li aiutiamo a trovare quella vocazione che è immagine di Dio nella loro vita. Ecco, abbiamo dimenticato l’immagine di Dio puntando solo sull’immagine esteriore. Bene ci dice il libro dei Proverbi: “Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città”. A chi possiamo paragonare oggi questa donna? Che nome possiamo darle? Io la chiamerei “umanità”. Non suonerebbe male infatti il versetto: “Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma l’umanità che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città”. L’umanità siamo noi; siamo noi che dobbiamo smettere di cercare l’apparenza e tornare alla sostanza delle cose; siamo noi che dobbiamo smettere di cercare l’effimero, perché – come ci ricorda il Piccolo Principe – “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Che cercate? Questa domanda che ritorna e deve ritornare incessantemente nella nostra vita, oggi potrebbe avere come risposta proprio l’apparenza. Sì, cerchiamo di apparire e spesso soffrendo, senza realizzazione. Abbiamo dimenticato che il fascino è un’illusione e vana è la bellezza. Non sappiamo più accontentarci di quello che siamo, di quello che Dio ci ha donato e che ha messo nelle nostre mani per portarlo a compimento; non ci accontentiamo più dei talenti di cui il Signore ci ha fatto dono, anzi, quelli non li prendiamo più nemmeno in considerazione e andiamo a sotterrarli, perché secondo la mentalità di oggi bisogna essere tutti uguali, puntare tutto sul successo e la bellezza per essere riconosciuti validi da qualcuno. Che tristezza! Siamo tutti delle fotocopie per stare alla moda, ma Dio a qualcuno ha dato cinque, ad altri due, a qualcuno uno. Perché questa differenza? Cattiveria di Dio? No, possibilità per l’uomo. Racconta infatti Gesù nel suo vangelo: «A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno». È un particolare che spesso dimentichiamo: Dio non dà secondo le sue preferenze, ma secondo le capacità. Sta all’uomo tirar fuori il meglio di sé e investire in queste capacità. Ma questo non avviene più perché fin da piccoli li educhiamo ad essere l’uno la fotocopia dell’altro con l’aggravante della competitività. Che poi è un’aggravante del mondo adulto. E fino a quando accontenteremo i nostri ragazzi nell’avere quello che ha l’amico o l’amica per non sentirsi inferiori, nell’avere qualcosa di più per sentirsi superiore e più bravo o brava oltre che bello o bella, noi non esalteremo le loro capacità, ma le soffocheremo con cose fittizie. Quante volte in famiglia ci soffermiamo a lodare Dio per le diverse capacità che ci ha dato? Quante volte ricordiamo ai nostri giovanotti questa parabola dei talenti evidenziando le potenzialità che Dio dona loro? Quante volte li facciamo sentire partecipi di questa missione che Dio ha affidato ad ogni uomo di investire nei personali talenti senza adeguarsi alla massa? E avviene poi che alle domande: «Che cosa cerchi nella tua vita? Cosa farai da grande?», spesso la risposta è: «Boh, non lo so». Ci credo: si sta ad aspettare di vedere cosa fanno gli altri, si sta a guardare come vanno le cose per non restare indietro. Si sceglie una scuola perché la frequentano altri e un po’ meno per le proprie inclinazioni; si cerca la tal squadra sportiva perché bisogna essere meglio degli altri anziché cercare quella dove più ci si diverte anche perdendo; si vuole un lavoro dove si fa meno fatica, perché oggi non bisogna sbattersi troppo. Ma allora: che cosa cerchiamo in questo affascinante mondo?