III di Quaresima B

4 marzo 2018

Quale segno ci mostra Gesù per cacciare tutti i cambiamonete fuori dal tempio? La domanda potrebbe essere tradotta: Chi sei tu per fare queste cose? Ciò che è interessante è la risposta di Gesù, il quale non esprime la sua autorità o la sua autorevolezza che lo spinge a ribaltare i tavoli del denaro e a prendere gli animali a frustate, ma dice un concetto molto più profondo. Egli parla loro del tempio, dicendo: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Chiara è la presa in giro dei suoi interlocutori: come è possibile ricostruire in tre giorni un edificio per il quale sono stati spesi anni e anni di lavoro? C'è un “ma” nel Vangelo di Giovanni che ha la stessa importanza della pietra angolare del tempio: “Ma egli parlava del tempio del suo corpo”. Tutto appare molto chiaro: sia i giudei che Gesù parlano del tempio, ma mentre i primi parlano di un edificio, Gesù parla del suo corpo come il segno. Che cosa è il segno e quando parliamo di segno? Il segno diventa per noi oggi un sacramento, un segno sacro della presenza di Cristo nella nostra vita. Alla domanda: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?», la risposta di Gesù mostra il tempio del suo corpo. Dunque il suo corpo diventa segno sacro di quel tempio che siamo noi. Noi siamo il tempio di Dio, corpo di Cristo votato alla risurrezione. Noi siamo la Chiesa nella quale viviamo, agiamo e professiamo la nostra fede, quella fede nel Cristo morto e risorto per la nostra salvezza. Una fede che ci fa sentire legati gli uni agli altri, perché tutti siamo nella stessa barca. La barca ci richiama l'immagine della Chiesa. Come la barca non può assolutamente essere appesantita da oggetti inutili per non compromettere la navigazione, così il tempio di Dio che è la Chiesa non può essere appesantita da cristiani che fanno della Chiesa solo un mercato di cose da prendere e dare. Penso ai segni sacri che troppo spesso esigiamo per i nostri ragazzi. Purtroppo molte volte esigiamo i sacramenti senza un impegno costante per prepararci a riceverli. Questo avviene soprattutto nei giovani genitori che spesso non comprendono l'importanza della preparazione all'incontro con il Signore, ritenendo solo un peso ciò che la Chiesa chiede. E non ci accorgiamo di quante pesantezze chi si dice cristiano si porta dietro: la non voglia di lasciarsi interpellare dal Vangelo, le scuse che prendiamo per fuggire dal Signore e non partecipare alla Messa domenicale impedendo anche ai ragazzi di farlo, la mancata voglia di pregare da soli o in famiglia, il vedere solo un'impostazione quelle regole che ci permettono di vivere una vita cristiana adeguata, mentre vorremmo sempre e solo fare di testa nostra. Anche i comandamenti che il Signore ha dato a Mosè per il suo popolo e tutt’oggi ancora validi diventano leggi faticosi da osservare. Tutto questo appesantisce la Chiesa, appesantisce la nave che ci deve portare a scoprire il tempio di Dio non come una struttura ben solida, artisticamente splendida e architettonicamente inimitabile. La nostra fede deve invece portarci a compiere un viaggio leggero, bello e appassionato nella Chiesa di Cristo, suo e nostro corpo. La fede deve portarci a solcare le onde del mare, delle intemperie e delle burrasche a volte, quali sono tutte le nostre remore, per farci fare un'esperienza entusiasmante di Cristo e del suo corpo, la Chiesa. È nella Chiesa infatti che le nostre singole vocazioni prendono vita. Senza la Chiesa resteremmo pedine inanimate di un gioco, non troveremmo l'energia per mettere a frutto le nostre belle capacità a servizio degli altri, dei più giovani che bisogna aiutare e indirizzare nella costruzione del loro futuro, a servizio della famiglia perché possa sempre più riscoprirsi come Chiesa nella quale vive l'amore di Dio che ama ed educa ogni giorno, a servizio degli ammalati e degli anziani, che non sono lo scarto della società, ma la parte più fragile da seguire, amare, curare: anche il servizio a loro è una vocazione oggi poco presa in considerazione. Senza la Chiesa la nostra vita sarebbe chiusa in se stessa, apatica, incapace di aprirsi alle meraviglie che il Signore compie nell'uomo. E allora buttiamo a mare le pesantezze del sentirci Chiesa alla scoperta del progetto di Dio sulla vita di ognuno e sulla vita di tutti; buttiamo a mare le fatiche e le continue lamentele e godiamoci la brezza che dal pontile di una nave si sente mentre questa è spinta dal vento dello Spirito verso le nuove terre che sono le giornate che abbiamo davanti, una dopo l'altra e che formano la nostra vita. Stacchiamo dalla nostra nave, dalla nostra vita, quelle remore che frenano la nostra avanzata verso il Signore, che come un faro sul porto sicuro, come la stella luminosa del mattino all’orizzonte, ci indica la rotta giusta da seguire per portare a compimento il sogno che lui ha sulla nostra vita e sulla vita di tutti, giovani compresi.