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VII di Pasqua

Ascensione del Signore B

Domenica della Santa Unzione

13 maggio 2018 

Cosa significa che Gesù ascende in cielo se non che prima è disceso sulla terra, si chiede l'apostolo Paolo. E continua: “Colui che discese è anche colui che ascese al di sopra dei cieli, per essere la pienezza di tutte le cose”. Parole importanti, altisonanti, quasi incomprensibili per farci capire il grande mistero di Cristo, figlio di Dio, fatto uomo per la nostra salvezza, per noi morto e risorto e asceso al cielo per portarci tutti con sé. Sembra proprio che nelle parole del l'apostolo troviamo questo movimento compiuto da Cristo: scende sulla terra per farsi carico di noi, povere creature, e portarci tutti con sé nella sua ascesa al cielo. Anzi, potremmo dire molto di più: i piani non sono solo due, come sembrano, bensì tre. Dal cielo Dio scende sulla terra, in Cristo e nella sua morte scende al di sotto della terra per andare a liberare l'uomo prigioniero della morte e con la sua risurrezione ridona a lui la vita per portarlo con sé nella gloria del Padre. È ancora San Paolo in un altro passo delle sue lettere a scrivere: “Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce, per questo Dio lo ha innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2). Per innalzarsi ha dovuto prima abbassarsi, per salire alla destra del Padre ha dovuto prima scendere nelle profondità della terra e così chiamare tutti a una vocazione mirabile, quella di essere per sempre con lui per l'eternità. Egli ci ha solo tracciato questo cammino, egli ci aspetta al traguardo. Prima però la nostra vita deve rispondere ad una vocazione terrestre che troviamo nella lettera agli Efesini dell’apostolo Paolo: “Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo”. Per raggiungere il cielo siamo chiamati su questa terra ad adempiere la nostra vocazione annunciando il Vangelo in parole e opere, per conquistare la corona immortale dobbiamo assolvere un compito importante che egli ha lasciato ai suoi prima di essere assunto alla destra del Padre. Ha detto loro e ripete a noi oggi: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Ma come annunciare il Vangelo? Quando annunciarlo? A chi? Domande semplici e nello stesso complicate. Siamo chiamati ad annunciare il Vangelo con la nostra vita semplice, in ogni giornata che il Signore ci dona di vivere rivolgendoci a coloro che incontriamo. Possiamo annunciare il Vangelo nelle vita familiare, nell’impegno lavorativo e scolastico, nella gioia di ritrovarci tra amici e compagni di sport, ma anche attraverso la malattia, l'anzianità, la saggezza che caratterizza i nonni. Possiamo annunciarlo attraverso la malattia, perché anche nei momenti di fatica e di sofferenza sentiamo vicino il Signore che ci da la forza di vivere il Vangelo. E questa fase della vita è bene che sia incrociata dai più giovani che spesso si dimenticano dei più anziani, faticano ad ascoltare la loro saggezza, con non poca difficoltà si stringono attorno al letto della malattia e della sofferenza. La malattia e la sofferenza sono un Vangelo aperto che le giovani generazioni devono leggere, meditare, interiorizzare. E se spesso non riusciamo ad annunciare il Vangelo con le parole, predichiamolo con i gesti di attenzione, di bontà, di amorevolezza verso chi è solo, chi è anziano, chi è malato. Annunciamolo anche ai nostri ragazzi facendo visitare loro i nonni anziani, malati e soli. Basta con il culto dello spavento, con l'iperprotezionismo che li fa crescere solo illusi di un mondo affascinante e incapaci di guardare in faccia alla realtà. Facciamo toccare ai nostri ragazzi il limite umano della malattia e della sofferenza e si sentiranno meno onnipotenti e più capaci di adempiere alla vocazione a cui il Signore li chiama, una vocazione sempre volta al bene altrui, mai all'interesse personale. Facciamo in modo che i nostri ragazzi e giovani possano dire: “Abbiamo trovato il Cristo” sul letto del nonno ammalato, nella casa della nonna che ha bisogno di cure, nel volto dell'anziano aiutato alla casa di riposo o ad attraversare la strada. E chissà che proprio in quei gesti d'amore possano nascere sante vocazioni dedite alla cura dei più anziani e malati. E il Signore, che asceso al cielo ci ha promesso di restare sempre con noi, faccia sentire la sua presenza viva anche ai nostri anziani e malati attraverso il Sacramento dell'Unzione, attraverso il segno dell'olio santo che cura le ferite dell'anima, fortifica lo spirito nei momenti della prova e dona grazia per la vita eterna.