Veglia di Pentecoste

19 maggio 2018

È il caos. Babele o Babilonia che dir si voglia: è il caos. Non è un caso che anche noi quando regna il caos siamo soliti dire: “Che Babilonia!”. E Babele, con la sua torre, sta a significare proprio questo: il caos. Uomini e donne che vogliono raggiungere Dio, vogliono essere come Dio, voglio essere alla pari di Dio. O forse sarebbe più giusto dire che credono di essere Dio. Il mondo di oggi è così: ragazzetti che a suon di parole e bestemmie o con la sigaretta in bocca pensano di toccare il cielo con un dito; adolescenti che pensano di essere chissà chi perché si prendono gioco di un compagno o di una ragazza pensando di mostrare la loro forza dimenticando che proprio quella è la loro prima debolezza; giovani che credono di spaccare il mondo credendosi potenti e poi dipendono ancora dai genitori che li mantengono a suon di pane e sudore, perché pensavano di essere emancipati con il loro relativismo e col “faccio quello che voglio”, ma poi senza il cordone ombelicale attaccato soffocano. Vogliamo parlare del mondo adulto? Genitori allo sbaraglio, senza una linea educativa, nonni messi al ricovero non perché ne avevano bisogno, e se hanno bisogno è più che lecito, ma perché danno fastidio. E i morti? In casa no, fanno impressione, meglio lasciarli in quelle sale del commiato che hanno inventato adesso così non sono tra i piedi. Se guardiamo al mondo politico allora la nostra Babele diventa una metropoli: gli uni contro gli altri per cercare un posto a sedere che frutta fior fior di quattrini, poi le leggi sulla vita, sulla morte, sulla natura della vita: quelle valgono un posto a sedere. E il mondo è nel caos. La moralità, l’etica, i semplici e più umani valori sono classificati come cose d’altri tempi. E Babele cresce, viene edificata. Ma Dio, con un solo dito confonde i loro pensieri, mette in subbuglio le loro lingue. Non si capiscono più, non si comprendono e tutto resta fermo. Sembra proprio il nostro mondo, nel quale non ci si capisce più. E mi parlano di progressione? E mi dicono di non giudicare uno per come si veste? Se l’abito non fa il monaco, l’abito deve pur sempre restare un abito, che lo faccia il monaco o la sarta, poco importa, ma se guardo alle nuove tendenze, dove si va a scuola in ciabatte e in chiesa in mutande, sempre che ancora si vada in chiesa, allora è meglio se il monaco iniziasse ancora a fare gli abiti. È la tendenza, sì – dicono – ma a forza di tendere e tendere stiamo cadendo per terra, stiamo rovinando su noi stessi, come quella torre a Babele. E Giovanni che nel suo Vangelo dice che non c’era ancora lo Spirito. Invochiamolo lo Spirito perché riempia il cuore dei suoi fedeli e accenda in essi il fuoco dell’amore, il lume della ragione, la fiamma del buon senso. E ci doni di parlare lingue nuove, capaci di aiutarci a comunicare di più e meglio, ma secondo quanto lui ci suggerisce, non secondo quando ci suggerisce questo mondo ormai corrotto e senza valori umani. E se mi sembra di essere un po’ troppo disfattista questa sera, aspetto la Pentecoste, per essere pieno di speranza che il domani sia migliore.