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XIV del tempo ordinario B
8 luglio 2018

Chi è il profeta? Guardando Ezechiele potremmo dire che è l'inviato di Dio in mezzo a un popolo testardo e duro di cuore: in poche parole è l'agnello in mezzo a lupi. Se pensiamo a san Paolo, il profeta è colui che malgrado le proprie debolezze annuncia una parola ben più grande della sua portata, ma non dispera perché si sente sostenuto dalla grazia del Signore che si manifesta proprio nella debolezza del profeta. E Gesù è il profeta disprezzato addirittura dalla sua gente, dai suoi compaesani, da coloro che più di tutti dovrebbero essere orgogliosi di avere un concittadino così illustre. Ma come dice Gesù stesso, facendo diventare le sue parole un proverbio molto utilizzato oggi: nemo profeta in patria, nessuno è profeta nella sua patria. Non aveva tutti i torti se pensiamo che la patria di Cristo non era questo mondo, ma come egli stesso disse a Pilato nel momento della sua condanna: il mio regno non è di questo mondo. In effetti il Signore ci ha sempre insegnato a camminare in questo mondo costantemente orientati alla patria celeste. La liturgia stessa ci invita a meditare questa grande realtà quando ci fa pregare dicendo: Ogni giorno del nostro pellegrinaggio terreno è un dono sempre nuovo del tuo amore per noi (prefazio Domeniche tempo ordinario VI). E ancora: Tu non ci lasci soli nel cammino, ma sei vivo e operante in mezzo a noi. Con il tuo braccio potente guidasti il popolo errante nel deserto; oggi accompagni la tua Chiesa, pellegrina nel mondo; con la luce e la forza del tuo Spirito, per mezzo del Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, ci guidi, nei sentieri del tempo, alla gioia perfetta del tuo regno (prefazio preghiera eucaristica V/a). Il profeta non può essere diverso dal Maestro che annuncia. Anche il profeta cammina su questa terra non cercando una ricompensa terrena o un consenso umano, perché sa bene che il suo compito non è annunciare se stesso, ma il Signore con tutto ciò che comporta, fosse anche un certo rifiuto di chi lo ascolta o lo deride o addirittura il pericolo di essere messo al bando, sapendo bene di ricevere una ricompensa eterna nella patria celeste. Non solo: il vero profeta sa di non essere all'altezza di questo compito così importante e conosce bene le sue fragilità, il suo peccato, la propria miseria di fronte al peso consistente della Parola di Dio. Eppure di fronte a ciò il profeta confida più in Dio che in se stesso, sa vincere la propria inadeguatezza pur restandone sempre cosciente e si mette nelle mani di Dio, lasciandosi dire dal Signore: Ti basta la mia grazia, la mia potenza si manifesta nella tua debolezza. Tuttavia a volte questo non sembra essere così sentito. C'è chi sentendosi inadeguato si tira indietro soffocando con la paura dell'inadeguatezza la chiamata del Signore ad essere profeta e catechista. C'è chi si sente invece così sicuro e pieno di sé che non si accorge della propria debolezza e crede di non aver bisogno nemmeno della grazia di Dio, convinto che quanto proclama sia tutta farina del proprio sacco, illudendosi di proclamare parole di Dio, mentre sta proclamando se stesso cercando consensi e apprezzamenti. C'è anche chi non pensa nemmeno di poter essere scelto dal Signore come suo profeta, impedendo così allo Spirito di Dio di prendere dimora nel proprio corpo lasciandosi spingere ad essere profeta e catechista in questa genìa di ribelli dei nostri tempi. Ciascuno di noi è chiamato ad essere profeta di Dio, chi con la sua capacità, chi con la sua debolezza, chi con le proprie titubanze, chi con le proprie inadeguatezze, ma tutti, proprio tutti capaci di affidarci al Signore il quale, pur facendoci comprendere come nessuno è profeta in casa sua, ci dice: Ti basta la mia grazia, la mia potenza si manifesta nella tua debolezza.