Sant’Alessandro martire

26 agosto 2018

Il martire Alessandro, del quale celebriamo oggi il ricordo del suo martirio, sta davanti a noi come una colonna portante di esempio e di virtù. Un uomo, un giovane, un condottiero dell’esercito romano che ha saputo lasciarsi chiamare dal Signore al dono totale della vita. In lui sono certamente risuonate le parole del Signore che ai suoi discepoli ha dichiarato: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga». Il frutto della fede di Alessandro è rimasto vivo nella terra bergamasca irrigata dal suo sangue. Su di lui è stato sferzato il gladius, la spada che ha reciso la sua testa. È stato testardo Alessandro, così testardo da perdere la testa per il Signore ancor prima che gliela tagliassero. Spesse volte la testardaggine non è sinonimo di vizio, ma di virtù. Ai nostri giorni non possiamo certo dire che essa vada esaltata, soprattutto quando i più giovani e i nostri ragazzi vogliono fare di testa propria senza ascoltare il parere degli educatori e del mondo adulto e saggio come quello anziano. Altre volte però la testardaggine è divenuta per qualcuno unaprerogativa che lo ha portato a realizzare quei sogni che il Signore aveva posto nel suo cuore, ponendosi a volte contro un mondo che sembra vivere nel lassismo e nella mediocrità. Sì, Alessandro ha fatto di testa sua quando, pur di non rinnegare la fede cristiana immolando sacrifici all’imperatore Massimiano, è dapprima fuggito verso Como, ma poi catturato ha ribadito con forza il suo no ai sacrifici pagani. E poi un’altra fuga, da Milano verso Bergamo, attraverso le nostre campagne per raggiungere la città dove, per ordine dell’imperatore, viene di nuovo catturato e processato per aver disobbedito all’ordine del supremo sovrano. Agli occhi del mondo d’oggi la testardaggine del soldato Alessandro è una pazzia, un’assurdità, una cosa insulsa. Chi sarebbe disposto a giocarsi la vita per la fede cristiana? Quale dei nostri giovani capirebbe oggi ciò che Alessandro ha fatto, visto che sono pochi quelli rimasti fedeli al Signore vivendo la vita cristiana,non degna di onori e di altari, ma nella sua normalità? Chi dei nostri ragazzi non si vergogna a dire ai propri compagni di scuola che va a Messa e prega quotidianamente? Chi di noi adulti non si pone problemi quando è in compagnia o fuori con amici di vecchia data a rimproverare le bestemmie o a fermare la comitiva per qualche secondo in una chiesa? Quanti sono i genitori che prima della partita domenicale del figlio si preoccupano di mettere al primo posto l’incontro domenicale con il Signore trovando orari e luoghi per non perdere questo appuntamento e poi anche gli altri? Se la testardaggine di Alessandro ci serve per comprendere la nostra vocazione cristiana e vivere un po’ meglio il nostro essere cristiani ben venga, annoveriamo la testardaggine tra le virtù da perseguire e accogliamo le parole di Mattatia che, da buon padre, rivolgendosi ai propri figli in punto di morte disse loro: «Non abbiate paura delle parole del perverso, perché la sua gloria andrà a finire ai rifiuti e ai vermi; oggi è esaltato, domani non si trova più, perché ritorna alla sua polvere e i suoi progetti falliscono». Oggi, al contrario troviamo genitori che non stimolano più i propri figli a vivere i grandi valori della vita, difficilmente o in numero assai esiguo li troviamo a incoraggiarli a vivere da veri cristiani. Tutt’al più i genitori d’oggi si limitano a dire ai propri figli: «Mi raccomando comportati bene». Tutto qui? Altri cercano per i propri figli il posto migliore nella società sportiva, là dove il figlio o la figlia possa trovare il successo. Allora è il caso di ascoltare ancora la voce di Mattatia che raccomanda ai propri figli: «Ricordate le gesta compiute dai padri ai loro tempi e traetene gloria insigne e nome eterno». E quali sono queste gesta? Ce lo spiega san Paolo scrivendo: “Combattete unanimi per la fede del Vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Agli avversari non bisogna spezzare le gambe, come si sente spesso da voci orribili che provengono dagli spalti, ma occorre nelle cose di ogni giorno, compreso lo sport, combattere per una vittoria che va al di là del risultato di fine partita, quella vittoria che si chiama lealtà, giustizia, impegno, altruismo, riconciliazione, perdono, amore anche nei confronti di un avversario… non solo nello sport.Viviamo in un mondo di maniaci della vittoria che vogliono solo celebrare se stessi senza vivere il Vangelo. Viviamo piuttosto la nostra vocazione alla testardaggine, quella che ha portato Alessandro a donare la vita a Cristo e per Cristo, memore delle parole del Signore: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici». Come Cristo ha dato tutto per noi uomini, così anche noi siamo chiamati per vocazione a spendere la nostra vita per Cristo, per il Vangelo e quindi per il bene nostro e dell’intera umanità che vive nella Chiesa. Lasciamo che il Signore ci scelga per portare a compimento il suo progetto, lasciamo che ci scelga perché attraverso la nostra disponibilità possiamo portare frutti maturi di Vangelo. A noi non è chiesto di versare il sangue, ma solo di vivere con coerenza il Vangelo e di insegnare ai nostri figli a rispondere a questa chiamata senza soccombere alla mentalità, spesso assurda, di questo mondo. Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori (Rm 8,35). Martire Alessandro, donaci la tua testardaggine, per combattere, da buoni soldati, la mentalità di questo nostro tempo e donaci di non cercare il successo su questa terra, ma di adempiere, come te, la nostra vocazione, quella che il Padre ha pensato per noi e per i nostri figli per la piena realizzazione e la vera felicità. Amen.