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III di Quaresima C

24 marzo 2019

Convertirsi non è facile, significa cambiare direzione, cambiare rotta, cambiare vita. Non è facile quando abbiamo assunto e fatto nostro uno stile di vita contrario al Vangelo, diametralmente opposto agli insegnamenti del Signore. Quando uno stile di vita diventa parte integrante della nostra esistenza, ci giustifichiamo dicendo che siamo fatti così e niente e nessuno potrà cambiarci. Cambiare porta sempre un po' a morire dentro, perché significa abbandonare le proprie usanze, i propri costumi, i propri modi di dire e di fare. Ma se non cambiamo, se non ci convertiamo, stiamo sicuri che non avverranno sciagure per causa nostra, come quelle citate da Gesù, quali la torre di Siloe rovinata su quei diciotto abitanti di Gerusalemme o l’uccisione di quei Galilei messa in atto da Pilato. Stiamo certi che fame, terremoti, carestie e ogni altra catastrofe non sono e non saranno causati dal nostro rifiuto alla conversione. Tuttavia il nostro futuro potrà essere però paragonato a quel fico, che pian piano stava perdendo la sua vitalità cominciando col non dare più frutti buoni; e i segni della nostra non conversione sono proprio quei frutti buoni di opere buone, di pensieri buoni, di parole buone che vengono a mancare nella nostra vita. A cosa serve una pianta da frutto che non dà più frutti? A che serve un uomo e una donna che nella Chiesa come nella società non danno più frutti buoni attraverso la loro vita, il loro buon esempio e la loro buona testimonianza? Gesù Cristo, in maniera formidabile, non dice che persone così non servono a niente o siano utili tanto quanto una pianta che prima non da più frutti e poi secca. Non ci parla nemmeno dell'uomo e della sua conversione. Ci parla piuttosto del coltivatore che, rivolgendosi al padrone, chiede solo un po' di pazienza, perché si prenda cura di quell'albero, lo nutra ancora di buone sostanze e gli dia il tempo per riprendere a dare frutto. È lo stesso atteggiamento che Dio ha nei nostri confronti, perché siamo uomini e donne fragili e peccatori: ha molta pazienza Dio con noi, perché attraverso Gesù Cristo, che per noi si è fatto alimento spirituale, crede ancora alla possibilità della nostra conversione e del nostro graduale cambiamento. Ma perché cambiare? Perché dare ascolto a Dio? Cosa ha in più da darci di ciò che la vita stessa non ci doni? È questo il nodo fondamentale: Dio per noi vuole solo la vera felicità, non sopporta di vederci immersi in un mare di buoni propositi, ma irrealizzabili perché con le nostre forze e con le tentazioni che ci circondano non ce la faremo mai. Ma soprattutto desidera da noi la vera felicità, per questo ha per noi disegni meravigliosi, per i nostri ragazzi sogni formidabili, per i nostri giovani progetti di alto livello. Purtroppo però corriamo il rischio, giovani e adulti, di non avere lo stesso atteggiamento paziente di Dio: ci facciamo prendere dall'ansia del domani, dalla preoccupazione di dare risposte veloci alla vita che spinge anche in direzioni sbagliate, abbiamo la frenesia di lasciarci prendere dall'entusiasmo che poi si rivela un fuoco di paglia nelle scelte da fare per la nostra vita e per la vita dei nostri ragazzi; tutto questo perché noi adulti, genitori ed educatori, chissà perché, sappiamo già verso cosa indirizzare i nostri ragazzi, sappiamo già in che squadra di alto livello andrà a far carriera, sappiamo già cosa o chi diventerà e il ruolo di prestigio che assumerà. E se Dio chiamasse alla vita sacerdotale e religiosa? Ci spiace per lui, ma è ormai troppo tardi, la prossima volta - caso mai ci fosse - non ci penserà due volte ad arrivare prima. Comunque, dovrà fare i conti con noi e chiederci il permesso per entrare nella vita di figli e nipoti vari. Quanto siamo stolti! Perché non sederci su una barca, lasciarci cullare dalle onde del mare, ascoltare la brezza che fa increspare questa distesa di acqua infinita e attendere il momento giusto per gettare le reti? Ma per fare questo passaggio occorre davvero cambiare stile, cambiare modalità e togliere di mezzo la pretesa di sapere già tutto sulla vita nostra e dei nostri giovani. Ecco una buona conversione da attuare! Occorre avere la pazienza del pescatore che, per portare a casa il buon pesce da mangiare o da vendere, deve passare tutta la notte seduto su una barca, deve pazientare perché i pesci entrino nella rete. Così noi dobbiamo avere la pazienza del pescatore per comprendere i progetti di Dio, a maggior ragione se sta chiamando qualcuno alla vocazione di speciale consacrazione. Dobbiamo avere la stessa pazienza che ha Dio con noi e non la nostra pazienza umana che il più delle volte svanisce in pochissimo tempo. Se il pescatore non restasse con pazienza tutta la notte sulla barca in mare, potrà gettare tutte le reti che vuole, ma non andrebbe fiero di una buona pesca: si troverebbe senza pesci e con l'amaro in bocca.