IV di Quaresima A

26 marzo 2017

«Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».  È il peccato di presunzione che ci porta ad essere ciechi, a non vedere chiaramente il nostro cuore e a considerare giusto e corretto tutto ciò che facciamo. È un peccato comune a tutti, perché tutti abbiamo la pretesa di definire giusto quello che facciamo. Ma il peccato più grave è quello di non lasciarsi illuminare per vedere meglio e accorgersi anche dei propri sbagli. “Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”, potremmo dire. Siamo chiusi in una stanza buia e il peccato di presunzione è quello di dire:  «Ci vedo» e non voler accendere la luce, per non vedere tutto il caos che c’è nella stanza. Questo avviene nel nostro cuore. Abbiamo la pretesa di vedere e di conoscere cosa c’è nel profondo del nostro cuore e non vogliamo che altri si intromettano per aiutarci a sistemare le nostre emozioni, i nostri falsi sentimenti, i nostri pensieri, le nostre paure. Facciamo finta che è tutto a posto, pur di non guardare in faccia al caos che abbiamo dentro. E guai a chi ci fa notare i nostri sbagli, i nostri errori; guai a chi, come una luce, fa chiarezza nella stanza del nostro cuore per farci comprendere cosa c’è da sistemare, quali errori abbiamo commesso per non commetterli più. No, non vogliamo proprio. Ecco perché siamo ciechi. Ma il Signore vuole donarci la luce nuova che illumina il nostro cuore, la nostra vita. È lui a dirci: «Svegliati, o tu che dormi e io ti illuminerò». È il Signore che ci invita alla sua mensa e spezza il pane per noi a donarci quella luce che illumina le profondità del nostro cuore per far germogliare in noi frutti nuovi e buoni. E questo ce lo ha detto anche san Paolo: “Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente”. San Paolo non usa mezze misure nel dirci che se vogliamo portare frutti buoni occorre lasciarsi illuminare dal Signore. E ha ragione. Se vogliamo che i nostri semi germoglino per una vita nuova dobbiamo dar loro luce. È grazie alla luce e al calore del sole di primavera che potranno spuntare dalla terra e diventare buon frumento per un pane buono da spezzare sulle nostre tavole, come il Signore ha fatto, fa e continuerà a fare sulla mensa della nostra comunità. Non possiamo pensare che senza la luce i germogli crescano e portino frutto. Così non possiamo pensare che senza il Signore la nostra vita possa crescere sempre più in modo nuovo e giusto per portare – come ci ha detto l’apostolo – buoni frutti. La guarigione del cieco nato è certamente un’immagine straordinaria di ciò che deve avvenire in noi, perché ciò che il Signore ha fatto con quell’uomo è servito sicuramente a lui, perché gli ha donato una vita nuova concedendogli la vista, ma è servito anche a quei farisei che continuavano a rimanere ciechi e chiusi nelle tenere dell’ottusità, per far capire loro – e quindi anche a noi oggi – che la vita nuova che Cristo ci dona illuminando il nostro cuore ci permette di essere capaci di cose nuove, di scelte belle, di novità sorprendenti. Ma questo potrà avvenire se ci lasciamo illuminare da lui, dallo Spirito che egli ci dona e che riempie il nostro cuore illuminandolo, per poter dare ordine al caos che abbiamo dentro. E non dobbiamo stupirci o arrabbiarci se il Signore ci dona la sua luce al fine di dare una ripulita alla nostra vita. Avviene così nei nostri scantinati o nei solai delle nostre case: se vogliamo ripulirli dalle cose inutili dobbiamo accendere la luce e guardare bene a quelle cose ingombranti delle quali è bene sbarazzarcene. Avviene così nei campi di grano: le erbacce vanno sradicate e bruciate. Questo avviene anche per i nostri sbagli, i nostri errori, il nostro peccato: lasciamo che la luce dello Spirito entri in noi; chiediamogli di illuminarci per guardare in faccia quei peccati e quegli sbagli che ingombrano la nostra vita e non ci danno la possibilità di viverla in pienezza, portando germogli di novità. E cosa ci resta? Ci resta la gioia che il contadino prova in primavera nel guardare che dalla terra del suo campo arato, seminato e irrigato, stanno spuntando nuove piantine, che daranno nuove spighe, per un buon raccolto e un pane che avrà un sapore buono, perché viene da una farina buona. Ecco, quando noi ci lasciamo illuminare dal Signore proviamo questa stessa gioia. E questi nuovi germogli ci riempiono il cuore di gioia, perché ci dicono che in noi è possibile una vita nuova che ci permetterà di portare buoni frutti. È la stessa gioia che provarono i due discepoli di Emmaus che, resi ciechi nel cuore dalla rabbia e dalla delusione, non riuscirono a riconoscere il Signore che camminava con loro, ma lo riconobbero solo nello spezzare il pane. Spezziamo il pane con il Signore alla Mensa eucaristica, nutriamoci di lui, vera luce, e la gioia che proveremo sarà la stessa che ci darà la forza per germogliare a vita nuova.