V di Quaresima C

7 aprile 2019

È presto emessa una condanna di morte, ma quando la si emette è già morto il condanno, non fisicamente ma nello spirito. È morto per il peccato che ha commesso e che lo ha portato ad una condanna umana, ma non a quella divina. Infatti, la donna adultera, prima di essere giudicata dall’uomo come colpevole di un reato punibile con la lapidazione, aveva già condannata se stessa compiendo un peccato e lapidando il suo cuore, facendo morire in sé la capacità di amare sostituendola con l’abilità di concedere il suo corpo per piacere o come fonte di guadagno. Ma la rivoluzione straordinaria la compie Gesù, che sul terreno, tra il silenzio della folla che lo osserva e i cuori uccisi dall’odio di quanti lo stavano fissando nell’attesa della sua sentenza, scrive una nuova vita per quella donna, con il dito di Dio le ridona una nuova possibilità, dona a quella donna di ricominciare una nuova vita attraverso il perdono e la misericordia di Dio, quel perdono e quella misericordia che l’uomo non comprende, perché agisce più di istinto, che non secondo il cuore. Gesù tende la mano e rimette in piedi quell’adultera che il giudizio umano aveva strattonata in piazza e già le lingue lunghe della gente avevano sbattuto in terra come uno straccio senza pietà. Una donna, quella, che per colpa del suo peccato era stata uccisa e massacrata dal giudizio della legge che ne prevedeva la lapidazione. Gesù, che non è venuto per abolire la legge antica, ma per dare compimento, vuole superare la legge antica e instaurarne una nuova, quella del perdono a chi si converte e si pente, quella dell’amore a chi amore non è riuscito né a dare né a ricevere perché troppo legato alla passione carnale. Gesù vuole dare nuova vitalità a quel cuore che stava morendo, nuova vitalità dove già c’era aria di morte, nuova vitalità dove la mano dell’uomo si stava macchiando di sangue. Già Isaia aveva profetizzato un’età nella quale Dio avrebbe fatto tutto nuovo, avrebbe fatto germogliare i fiori nel deserto e vi avrebbe aperto una nuova strada. L’era nuova di Dio è Gesù Cristo, il nuovo Mosè che ci fa passare illesi attraverso il mare, come Dio fece con l’antico popolo dell’alleanza. Ma se l’antico popolo era solo una prefigurazione, con Cristo noi possiamo passare dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, dall’essere adulteri nel cuore alla capacità di amare veramente. È nel mare della misericordia che anche il nostro cuore atrofizzato e morente per il peccato trova nuova vitalità. Stando a riva e guardando il mare o avanzando nell’acqua, almeno fin dove si tocca, si percepisce sotto i piedi o si vede ad occhio nudo soltanto sabbia o al più qualche conchiglia; stando su una barca, al largo del mare dove l’acqua è profonda, difficilmente si scorge il fondale; ma se l’acqua è limpida o ci si immergenelle profondità si scopre una vasta forma di vita non solo animale. Proprio là dove si pensa che non possano esserci forme di vita vegetale, è sorprendente vedere piante acquatiche che lasciano a bocca aperta. Proprio dove si pensava ci fossero solo scogli e pietre, sabbia e sassi, ecco una vita sorprendente. È stato così anche per quella donna che, mentre stava sperimentando il giudizio umano, ha trovato quello divino e mentre pensava solo alla morte,ecco che Cristo le ha dato una vita nuova, ma non solo una vita nuova: una nuova vitalità a quel cuore ormai troppo segnato dal peccato. Così è nella nostra vita, quando chiudiamo la via al Signore e non lo lasciamo entrare nel nostro cuore: egli vuole entrare in noi non solo per donarci la sua misericordia e un cuore nuovo, ma per chiamarci a corrispondere al suo progetto d’amore su di noi, un disegno che dona a ciascuno la vera felicità, come l’ha ridonata a quella donna. La felicità a cui il Signore ci chiama altro non è che la nostra vocazione: solo chi è pronto a rispondere alla chiamata del Signore saprà di essere felice e non dovrà barattare la sua felicità con nient’altro; non dovrà, come quella povera donna o quelle povere donne del nostro tempo, barattare la sua vita, il suo corpo, il suo cuore con qualcosa di passionale o materiale, cercando la felicità dove più si guadagna o dove il prestigio e il successo sembrano appagare quelle ricerche di felicità. Il mondo di oggi abbaglia gli adulti e ancor di più i ragazzi e i giovani, facendo loro credere che la felicità sia da ricercare nel denaro, nel potere e nel successo: Cristo ci insegna che la felicità è dove si realizzano le capacità di ognuno, quelle che Dio ci ha donato; la felicità si realizza realizzando il disegno di Dio; la felicità si realizza anche attraverso quelle vocazioni a cui in pochi aderiscono perché impegnative, come lo è quella religiosa o sacerdotale. Ma se gettare le reti per una pesca abbondante significa morire a se stessi per scoprire che la vita ci riserva meraviglie nuove, vale la pena tuffarsi nel progetto di Dio e lasciare che ci faccia incontrare cose nuove che nemmeno ci saremmo immaginati: è la bella sorpresa della vocazione, anche e soprattutto quella sacerdotale e religiosa.Ricordo da piccolo che, partecipando alla Messa domenicale con i miei genitori, trovandomi in fondo alla chiesa guardavo i chierichetti che al termine della celebrazione, da dietro l’altare, tornavano con i sacerdoti in sacrestia; mi chiedevo dove andassero, ma soprattutto se vivessero con i sacerdoti. Immaginavo che la vita del chierichetto comportasse un abbandono della famiglia, per questo quando mi proposero di servire all’altare di primo istinto rifiutai; solo dopo capii e il Signore mi chiamò davvero a lasciare la mia famiglia per entrare in seminario e così diventare sacerdote. E ne sono felice! Il Signore sorprende: lasciamoci sorprendere.