XXVIII del tempo ordinario B

Anniversario della Dedicazione

della chiesa parrocchiale

10 ottobre 2021

 

«Maestro buono, che cosa devo fare?».

Che cosa devo fare: sembra che la nostra vita sia tutto un fare. Ci alziamo al mattino col pensiero delle tante cose da fare e da sbrigare in una giornata: la scuola, lo studio, l’allenamento, le persone da incontrare, i figli da portare a scuola, il lavoro, la casa da riassettare, i figli da accompagnare alla partita, le cose da adempiere, la spesa da fare, i letti da sistemare, il bucato da stendere, la cena da preparare, i nonni da accompagnare alla visita medica. E potremmo andare avanti con un elenco interminabile di cose da fare.

Anche la Chiesa spesso viene scambiata con una serie di cose da fare: i momenti aggregativi, le serate danzanti, i premi della tombola, i costi da sostenere, il calendario da riempire, le riunioni da organizzare, le persone da reclutare per le pulizie, il CRE da svolgere, i momenti per i più giovani per catturare la loro attenzione e partecipazione, le squadre dell’oratorio. E volutamente ho omesso la preparazione alla celebrazione della Messa, i momenti di preghiera, perché quelli stanno pian piano scomparendo dalle priorità dei cristiani di oggi e anche dei preti, benché dovrebbero essere i momenti più importanti da preparare oltre che da vivere.

Fare, fare, fare.

C’è un particolare che non deve sfuggirci: quel giovane, a Gesù, non chiese semplicemente che cosa dovesse fare, ma aggiunse «per avere in eredità la vita eterna?». Non sono sicuro che tutto il fare che mettiamo in campo – e non voglio dimenticare di elogiare tutti i volontari che si danno da fare per portare avanti la comunità – ci serva per ottenere la vita eterna.

Se anziché svegliarci domani mattina e pensare a ciò che ci aspetta nella giornata e alle cose da fare, ci chiedessimo tutti, dai più grandi ai più piccoli, dai più giovani ai più anziani: «Chi voglio essere oggi?», sono convinto che imposteremmo la nostra giornata e le nostre relazioni in modo diverso, vivremmo la nostra vita non alla ricerca del mostrare a noi stessi e agli altri quanto valiamo, ma cercando sempre di essere noi stessi, con i nostri pregi e i nostri limiti, vivendo il nostro essere cristiani non di nascosto, ma senza problemi, manifestando il nostro appartenere a una Chiesa non perché facciamo qualcosa o al contrario ci nascondiamo per vergogna, ma perché ci sforziamo ogni giorno di vivere il Vangelo di Cristo, in famiglia, nella scuola, con gli amici, sul lavoro, nel tempo libero e in ogni momento della nostra vita. Ma perché questo avvenga, occorre riscoprire noi stessi e il nostro essere cristiani andando alle radici della nostra fede che ci è stata trasmessa e così impostare la nostra esistenza non con un orologio o un cellulare sempre a portata di mano, ma con un cuore capace di lasciarsi trasportare dallo Spirito Santo, riscoprendoci ogni giorno santi e amati da Dio, da quel Dio che non solo ci ha messo al mondo, ma che cammina con noi tenendoci per mano, anche quando una mano non la vorremmo né da Lui, né dalle persone che ci vogliono veramente bene, perché pensiamo di bastare a noi stessi.

E invece il Signore ci chiama nella Chiesa e a servizio della comunità in modo sorprendente. Con le parole dell’Arcivescovo Mario, nostro Metropolita, vogliamo incoraggiarci a non mettere davanti a noi solo cose da fare che ci spaventano o le scuse preconfezionate che ci distolgono dal metterci a servizio del Signore nella sua Chiesa:

L’angelo del Signore, in modi che non pensiamo, in tempi che non prevediamo, incrocia la vita di ciascuno di noi, entra nel nostro incompiuto per offrire un compimento che va oltre le aspettative, che diventa missione. La missione: sarai profeta del Signore. Non dire: “Sono giovane”. Forse desideravi una sistemazione e ricevi una missione: non una posizione in cui accomodarsi, ma l’impresa rischiosa di dire le parole del Signore: Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. Forse ti immaginavi un tranquillo tirare avanti e ti viene annunciata la responsabilità di farti avanti per dire a questo tempo, a questa gente, a questa famiglia, a questa comunità la parola scomoda, la parola che edifica e pianta promesse di futuro (Carona, 27 giugno 2021).

La Chiesa ha bisogno di noi e in questo anno pastorale, vogliamo riscoprire o imparare a metterci nella comunità con lo Spirito giusto, non solo quello del fare, ma prima ancora dell’essere cristiani che, credendo, mettono la loro vita nelle mani di Cristo, a servizio del Vangelo, senza esibizionismi, senza ipocrisie, senza scusanti o remore, senza vergogna o paura, ma con uno slancio nuovo che dona a tutti la gioia di essere cristiani e non di fare i cristiani solo per abitudine.