V di Quaresima C

3 aprile 2022

 

Mari, fiumi, riserve incontenibili di acqua: è lo scenario che il Signore Dio prospetta al popolo di Israele nel deserto arido dell’esilio babilonese. Lontani dalla propria terra, dalla propria patria, dalla propria comunità, gli Israeliti vivono la dispersione, la disgregazione come pezzi di un mosaico lanciati per terra. Un cuore infranto nella morsa di un re che li ha assoggettati a sé dopo averli condotti lontani dalla propria terra. Come non vedere l’opera del peccato in noi, che frantuma il nostro cuore dopo averlo reso terra secca e bruciata. Così, il Signore, promettendo di non rompere la sua alleanza con il popolo eletto e tanto amato, promette attraverso la figura dell’acqua, un tempo nuovo. Egli infatti dice per bocca del profeta Isaia: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto”.

In questo periodo di grande siccità per la nostra terra, tornare a vedere acqua che scende dal cielo ci fa percepire la benedizione di Dio; sentire il profeta che chiede: Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? ci fa guardare avanti con occhi di speranza, perché la vita vince la morte, la primavera l’inverno, l’acqua la siccità. Dio per noi desidera tempi nuovi, un cuore nuovo, non più inaridito dal peccato, ma dissetato dall’acqua rigenerante del suo perdono.

La Pasqua ormai vicina apra il nostro cuore a questa novità, come si è aperto ad accogliere la pioggia dal cielo che disseta la terra e non lascia noi con la paura di restare nella sete.

Dissetare un popolo assetato è il desiderio di Dio: avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Anche il salmo 42 ci fa gustare la bellezza e il desiderio di essere abbeverati da Dio:

Come la cerva anela ai corsi d'acqua,
così l'anima mia anela a te, o Dio.

L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente.

Il desiderio di acqua fresca, di misericordia e di perdono ha caratterizzato l’incontro tra Gesù e la donna adultera, sulla piazza del villaggio. Un incontro che aveva le sfumature del processo con la sentenza di morte da proclamare e da eseguire, dettata da uomini dal cuore arido come un deserto, asciutto come una steppa, duro come terra riarsa. Ma Cristo ha cambiato le carte in tavola, è apparso in mezzo a loro e in mezzo a noi come la novità più assoluta di Dio, che non si ferma a giudicare, ad emettere sentenze e a condannare a morte, come prevedeva la legge antica: a condannare ci riusciamo benissimo da soli quando vediamo negli altri la pagliuzza e non ci accorgiamo della trave che è nel nostro occhio, quando siamo pronti a scagliare giudizi pesanti come pietre dimenticandoci dei macigni che pesano sul nostro cuore e quando ci autocondanniamo a morte chiudendoci nel nostro egoismo e nelle nostre convinzioni senza vedere nuove possibilità di conversione e di perdono.

Ecco la novità che Dio ha preannunciato per bocca del profeta e che in Cristo Gesù si è incarnata: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». Gesù è la fontana al centro del paese, è la fonte viva in mezzo alla comunità: è il battistero che ci ha donato la vita nuova, è l’altare dal quale scaturiscono le grazie della vita. Cristo è la fontana del villaggio attorno alla quale radunarci per attingere l’acqua della misericordia e del perdono vicendevole che disseti il nostro cuore e lo renda intriso di amore fraterno, per attingere quell’amore che Egli ci dona e che deve traboccare da noi per inondare la nostra comunità, per inondare la sua Chiesa.

Di chi è figura la donna adultera se non della Chiesa stessa, santa e nello stesso momento peccatrice, peccatrice ma costantemente amata da Dio. Siamo noi questa Chiesa adultera, traditrice, peccatrice che voltiamo le spalle all’amore fedele di Dio; tuttavia continuiamo ad essere santi e amati da Dio perché inondati dal suo perdono che a nostra volta siamo chiamati a riversare abbondantemente e vicendevolmente gli uni sugli altri come una cascata che mai si prosciuga.

E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Cosa aspettiamo? Corriamo sempre a Lui, nostra fontana, raduniamoci attorno al suo altare per dissetarci di questo amore che mai si inaridisce, così da essere terra benedetta da Dio, così da vedere nuovi germogli di misericordia, così da immergerci nell’acqua del perdono che tutti accomuna e nessuno separa, che tutti disseta e nessuno fa annegare.