IV di Pasqua C

Domenica dell’Eucaristia

8 maggio 2022

 

La vita eterna: come sarà? Gesù Cristo l’ha promessa a noi suo gregge: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano».

Nella concezione umana la vita eterna non è contemplata e i certificati di morte parlano chiaro: anno, mese, giorno e persino l’ora del decesso vengono riportati; in quel momento cessa tutto, cessa l’esistenza, cessa la vita. Come può dire Gesù che nessuno ci strapperà dalla sua mano?

Nella concezione cristiana questo nessuno ha un nome ben preciso: la morte. La morte è ciò che tutti temono, ma Cristo nella sua risurrezione ha vinto la morte e ci ha donato la vita eterna. Questa realtà è ben più faticosa da credere, forse perché non volendo pensare alla morte, viene automatico non pensare nemmeno all’aldilà, alla vita eterna che Cristo, Buon Pastore, ci dona.

Anche Paolo e Barnaba, nella loro predicazione, si erano imbattuti in questi discorsi con un esito piuttosto deludente, visto che i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani». Quindi i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio.

La persecuzione: nel nostro tempo e nella nostra terra non ci sono più persecuzioni, come ai tempi degli apostoli o dei primi cristiani votati al martirio per aver professato la fede in Cristo Gesù e Giovanni, nel libro dell’Apocalisse, ne descrive sotto forma di visione ciò che i discepoli di Cristo avrebbero subìto nel corso dei secoli. Scrive l’Apostolo: Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello. La palma è simbolo del martirio, ma anche di vittoria. Anche Cristo fu accolto tra palme in Gerusalemme, prefigurando così il suo martirio, ma nello stesso momento la sua vittoria. E i cristiani non possono che seguire il loro Signore, come le pecore seguono ovunque il loro pastore. Cristo, nostro unico pastore, ci guida su sentieri sicuri, benché non sia facile il sentiero che conduce alla vita eterna: non porteremo la palma del martirio, ma conseguiremo la vittoria, non avremo a che vedere con grandi persecuzioni, come purtroppo avviene ancora in alcune parti del mondo, ma siamo chiamati a testimoniare Cristo risorto nella Chiesa; non saremo condotti a morte da chi non vuole Dio, ma non possiamo esimerci dall’annunciarlo con la nostra stessa vita anche a coloro che hanno paura di Dio: sì, perché Dio fa paura, disarma, spiazza, mette in discussione la vita e questo fa male a chi pensa di avere il potere di decidere per la vita degli altri; Dio fa paura, perché l’amore che Egli ci ha donato nel Figlio ci conquista, ci annienta, ci rende capaci di dare la vita e non di possederla, ci fa capaci di tutto il bene che vince il male. Il cristiano che si pone in questo modo nel mondo non può che essere scartato, messo al bando, deriso. Ma questa è la vittoria: morire a se stessi per vivere in eterno, perché solo seguendo le orme del Buon Pastore potremo arrivare con lui alla vittoria finale sul male e sulla morte. Non possiamo però aspettare che il tempo decorra senza far nulla: in questa vita ci prepariamo per giungere pronti all’incontro con il Risorto per gustare la bellezza della vita eterna.

La vita eterna: come sarà? Non lo so. So solo che Cristo per conquistare un traguardo così grande e così importante non ci ha lasciato come pecore abbandonate sulle alture, ma ci ha donato se stesso nel sacramento dell’Eucaristia che la Chiesa celebra ogni giorno, perché ciascuno possa alimentare il desiderio della patria beata e non venga meno lungo il cammino della vita mollando la presa. Che delusione proviamo quando vediamo i grandi campioni lasciare tutto nel bel mezzo della gara, perché sfiniti e senza forze. Noi non vogliamo mollare: il nostro traguardo, la felicità eterna, l’abbiamo davanti, come davanti a noi è il Pastore buono che ci mostra la via. I pascoli erbosi ai quali attingere energia per continuare il cammino sono sempre a nostra disposizione, perché l’Eucaristia, dalla quale ottenere forza, non viene mai meno, anzi, sono i cristiani che spesso non ne trovano utilità, perché si pensano così forti da non averne bisogno.

Abbiamo invece bisogno di Cristo, pane vivo; abbiamo bisogno di Cristo che nell’Eucaristia ci dona forza e costanza per essere perseveranti in tutto, per superare le persecuzioni e sconfiggere chi ci vorrebbe portare lontano da Lui, dalla vera felicità, dalla bellezza di questa vita nella quale, mediante l’Eucaristia, possiamo pregustare la pienezza dell’eternità.

Possono forse le pecore stare senza pascoli erbosi? Possono forse andare ai pascoli senza il pastore che le guida? No. Allora nemmeno la Chiesa, nemmeno un solo cristiano, può e potrà restare senza Eucaristia.

Siamo una cosa sola: dice Gesù di Lui col Padre; anche noi tutti saremo una cosa sola, se saremo perseveranti nell’Eucaristia che ci fa una cosa sola, in comunione con il Signore nella comunione gli uni con gli altri e gli uni per gli altri: questo è il mistero e la bellezza dell’essere Chiesa, il corpo di Cristo.