XVI del tempo ordinario C

17 luglio 2022

 

L'ospitalità del prossimo è sacra, non ci si può tirare indietro. È così nella cultura ebraica, fatta addirittura di gesti molto concreti di attenzione, come il porgere l'acqua per lavare i piedi stanchi e affaticati dopo un lungo viaggio; è così nella nostra mentalità bergamasca di uomini talvolta chiusi e burberi, ma dal cuore grande e accogliente verso chi ci fa visita e, se non rientra nella nostra cultura porgere acqua per i piedi, almeno un caffè dice tutta la nostra ospitalità, che talvolta si traduce anche nell'offerta di vitto e alloggio.

L'ospitalità è così sacra anche per noi che i preparativi per l'accoglienza dell'ospite prevedono giorni e giorni di lavoro, perché la nostra casa non sia solo accogliente, ma perfetta. Siamo addirittura capaci di annullare gli impegni o rifiutare qualsiasi altro invito pur di non perdere tempo, perché l'ospite, se gradito, si senta a casa sua in casa nostra.

La casa, per noi, non è come la semplice tenda di Abramo, nella quale ospitò gli inviati di Dio, pur senza conoscere la loro identità; la casa è tutta la nostra vita, perché racchiude la nostra storia, i nostri ricordi, i nostri progetti, ciò che siamo veramente, divenendo lo specchio e la manifestazione della nostra esistenza. A differenza di una tenda precaria che sottolinea il continuo cammino della vita dell'uomo, la casa dice tutta la nostra stabilità, il desiderio continuo di un punto di riferimento non negoziabile, non anonimo. Non è un caso se quando siamo in vacanza, anche nel luogo più bello e confortevole del mondo, dopo un po' desideriamo tornare a casa, quasi a voler tornare in noi stessi. Questo ci permette di comprendere l'agitazione di Marta nel mettere in atto i preparativi per accogliere il caro amico Gesù e la premura nel servirlo perché, oltre a sentirsi a proprio agio, si sentisse a casa, in famiglia.

Che grande Marta: è l'emblema delle nostre mamme, delle nostre nonne, delle nostre donne. Mai stanche, mai affaticate, capaci di ogni cosa anche nella malattia. Niente le ferma, perché quel servizio non è solo segno di ospitalità, ma di cura e di amore non per sé, non per ricevere elogi, non per tornaconto, ma solo per l'ospite che tratta come un proprio figlio e meglio di un proprio figlio. Quante porte ho varcato, in quante case sono entrato, quante mamme e nonne ho messo in agitazione per la mia presenza e in ogni dimora ho trovato soltanto una cura e un'attenzione particolare. Che grande cosa l'amore per il prossimo che si traduce nell'ospitalità; eppure anche questa, come ogni cosa, deve avere un equilibrio. Non può essere vera se non parte dal cuore, non può essere in ordine la casa se prima non è in ordine l’animo, non c'è ospitalità vera se non nasce dall'azione del Signore nella nostra vita. E come agisce il Signore in noi per portarci all'ospitalità vera e al servizio autentico? Egli entra in noi con la sua Parola e con la grazia del suo Spirito portandoci a far sì che la nostra disponibilità non sia mai né fine a se stessa e volta a compiacerci. Il mio pensiero va ai tanti volontari delle nostre comunità – che ringrazio di tutto cuore – e in queste settimane a coloro che per i nostri oratori hanno dedicato, dedicano e dedicheranno tanto tempo sicuramente con il cuore: sono tutti la nostra Marta di turno, che però il Signore mette in guardia dicendo di fare attenzione, perché il servizio, la disponibilità e la generosità sono grandissima cosa se abitate dalla sua parola che rende il servizio sempre più disinteressato e ancora più gioioso, anche quando porta allo sfinimento. Facciamo attenzione a non scambiare l'ammonizione di Gesù come un rimprovero o un segno di ingratitudine verso Marta, tutt'altro: le sue parole sono cariche di amore e attenzione per noi che consumiamo tutto noi stessi, ma spesse volte non ci fermiamo a domandarci cosa ci chiede il Signore, cosa desidera per la nostra vita chiamandoci al servizio nella Chiesa e nell'oratorio? Non disdegna sicuramente la nostra disponibilità e la nostra ospitalità, ma desidera che prima di tutto ciascuno di noi ascolti la sua voce che sempre ci interroga, perché ogni nostro gesto parta da lui e riconduca a lui e non a noi stessi. 

Chiediamogli piuttosto, come Abramo: «Signore, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo» e comprenderemo che quando la nostra casa e la nostra vita, la nostra chiesa e i nostri oratori sono abitati dalla sua presenza, anche se tutto non è perfetto e le portate non sono cotte a puntino, sarà il nostro stile a fare sentire a casa propria coloro che ci incontrano e senza chiedere ospitalità se la trovano servita su un vassoio d'argento.