XXXI del tempo ordinario C

30 ottobre 2022

 

Al tempio, il pubblicano e il fariseo salirono per pregare. A Zaccheo, invece, è ordinato di scendere dall’albero. Salire e scendere sono due movimenti della fede che fanno parte anche della nostra vita quotidiana: saliamo o scendiamo le scale, un sentiero, da un piano ad un altro di una casa, di una scuola, di un’officina. Salire e scendere è il movimento dell’anima che mediante la preghiera si eleva a Dio, per scendere nel profondo di se stessa.

Papa Francesco, commentando il Vangelo del fariseo e del pubblicano ha detto: «Il primo movimento è salire. Il testo infatti comincia dicendo: “Due uomini salirono al tempio a pregare”. Questo aspetto richiama tanti episodi della Bibbia, dove per incontrare il Signore si sale verso il monte della sua presenza: Abramo sale sul monte per offrire il sacrificio; Mosè sale sul Sinai per ricevere i comandamenti; Gesù sale sul monte, dove viene trasfigurato. Salire, perciò, esprime il bisogno del cuore di staccarsi da una vita piatta per andare incontro al Signore; di elevarsi dalle pianure del nostro io per salire verso Dio; di raccogliere quanto viviamo a valle per portarlo al cospetto del Signore. Questo è “salire”, e quando preghiamo noi saliamo. Ma per vivere l’incontro con Lui ed essere trasformati dalla preghiera, per elevarci a Dio, c’è bisogno del secondo movimento: scendere. Come mai? Che cosa significa questo? Per salire verso di Lui dobbiamo scendere dentro di noi: coltivare la sincerità e l’umiltà del cuore, che ci donano uno sguardo onesto sulle nostre fragilità e le nostre povertà interiori. Nell’umiltà, infatti, diventiamo capaci di portare a Dio, senza finzioni, ciò che realmente siamo, i limiti e le ferite, i peccati, le miserie che ci appesantiscono il cuore, e di invocare la sua misericordia perché ci risani, ci guarisca, ci rialzi. Sarà Lui a rialzarci, non noi. Più noi scendiamo con umiltà, più Dio ci fa salire in alto». (Angelus 23 ottobre 2022)

Non è forse ciò che è avvenuto con Zaccheo? Anch’egli, come il fariseo al tempio, ha compiuto un movimento di salita: non è andato al tempio per pregare, ma è salito su una grande pianta per vedere passare Gesù. Entrambi, il fariseo e Zaccheo, sono uomini che in coscienza si sentono apposto: l’uno paga le tasse – il fariseo – e l’altro – Zaccheo – le ruba, ma restituisce. Questo “ma” sa molto di auto giustificazione. Il Fariseo ci appare alla mente come un uomo grandioso, imponente, capace di compiacersi per come Dio lo ha fatto; Zaccheo invece si distingue per la sua piccola statura, per la sua condizione di bassezza, per il suo essere un ladro. L’uno e l’altro sono però accumunati dalla stessa presunzione di non aver bisogno di nulla, soprattutto di conversione.

Se il fariseo scende dal tempio pensando di aver sistemato tutta la sua faccenda con Dio dichiarando la sua perfezione di vita, Zaccheo deve scendere dall’albero perché quel Gesù che voleva vedere da lontano vuole fermarsi a casa sua, entrare nella sua vita, rivoluzionarla, cambiarla, convertirla. Perché questo accada anche in noi, non possiamo far altro che salire verso Dio con lo stile del pubblicano, con umiltà e sincerità di cuore, per scendere come Zaccheo desiderosi di incontrare il Signore sempre disposto a perdonarci, sempre disposto a cambiare la nostra vita, sempre disposto a condividere con noi la nostra esistenza elevando a lui la nostra lode:

Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata.

Perché Dio chiuda gli occhi sul peccato dell’uomo e quindi lo perdoni, bisogna che l’uomo si metta davanti a Dio con il desiderio di essere perdonato, e perché questo avvenga, la sua ascesa al Signore deve essere vera, sincera e semplice. L’incontro tra lo sguardo di Zaccheo e quello di Gesù ha cambiato la vita al funzionario delle tasse, portandolo – come afferma lui stesso – a restituire quattro volte tanto, che matematicamente è impossibile; Zaccheo con questo modo di dire vuole dichiarare tutta la sua volontà di cambiamento. Possiamo allora dire che era davvero necessaria la sua salita su quella pianta, diversamente non avrebbe visto Gesù, non avrebbe incrociato il suo sguardo, non sarebbe sceso per accoglierlo in casa sua. Insomma, se non ci eleviamo a Dio mediante la preghiera, difficilmente incroceremo il suo amore che perdona e ancor più difficilmente scenderemo dai nostri piedistalli, mascherati da finta modestia e falsa umiltà. Lasciamoci tirar giù dal Signore che vuole entrare nella nostra vita e cambiarla. Piuttosto che salire su basamenti che ci mettono in mostra, eleviamo il nostro spirito al Signore, perché egli ci aiuti a scendere nelle profondità del cuore, ci aiuti a riconoscere i nostri peccati e ci doni la gioia del perdono.

Scendiamo dal nostro “ego” e saliamo esultanti verso l’altare di Dio; lasciamoci guidare dalla nostra fede che non ha bisogno di encomi e applausi, ma solo dell’amore del Signore che corregge a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisce ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in Lui, nostro Signore.