I di Avvento A

27 novembre 2022

 

Sveglia! è la formula più incisiva usata da ogni madre per “sbrandare” i propri figli, perché è arrivata l’ora di andare a scuola. San Paolo usa termini più pacati, ma non meno chiari: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. L’apostolo sembra dirci che ogni giorno che passa ci avvicina all’incontro eterno con il Signore nel suo avvento glorioso, e ciò porta la nostra fede ad un livello sempre più alto rispetto a quando, mediate il Battesimo, diventammo credenti. Allora il suo richiamo, come quello di Cristo nel Vangelo e come quello di ogni madre per i propri figli, ci deve portare ad essere svegli, vigili, perché, se conosciamo l’ora esatta nella quale la sveglia suona e pure la campanella per l’inizio delle lezioni scolastiche, non sappiamo in quale giorno il Signore nostro verrà: vegliate dunque, ci dice il Signore.

La campanella: mi ricordo quando ero in seminario e l’ultima ora del sabato, per permettere a tutti gli studenti di non perdere i mezzi di trasporto per tornare a casa, suonava con cinque minuti di anticipo rispetto all’orario quotidiano. L’ultima ora era quella di matematica, col professor Provera, don Ennio per tutti, e io, d’accordo col resto della ciurma, sul finire della lezione, chiedevo sempre di poter andare in bagno per poi, senza farmi vedere, dirigermi di corsa in fondo al corridoio dove c’era un pulsante per suonare manualmente la campanella. Detto, fatto: altri cinque minuti guadagnati per l’“evacuazione”. E così per un anno intero, fino a quando, il povero don Ennio, ha capito il perché puntualmente, tutti i sabati, chiedessi di andare ai servizi, ma ormai l’anno stava terminando. Un altr’anno l’ultima ora era quella di psicologia, con don Santino: prima che iniziasse la lezione, da sempre presa un po’ sottogamba e in troppa confidenza col professore, facevamo in modo che la porta non avesse fermi, così che al suono della fatidica campanella potessimo precipitarci nell’aula di studio di fronte, prendere i borsoni e uscire di corsa non senza un saluto a don Santino che rimasto solo in classe chiudeva sconsolato la lezione. Che birichini! Credo che il suono della campanella non sia mai stato così amato da noi studenti e ci tenesse tanto svegli e attenti per prepararci al termine della settimana.

Un grande santo che tutta la Chiesa venera ha sperimentato anche lui una vita fatta di sregolatezze, certamente più pesanti di quelle citate e vissute in seminario: è Sant’Agostino. Leggendo le sue Confessioni, libro autobiografico che racconta la sua vita, ci si imbatte negli episodi da lui narrati nei quali dimostra tutta la sua lontananza da Dio e la sua vicinanza alle lusinghe del mondo. Famoso è il passo: “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l'ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace”.

Tardi: spesso il suono della campanella ci aiuta a ricordare che non è mai troppo tardi per imparare, in modo speciale per imparare a pregare. Agostino, ne è la prova. L’incontro col vescovo di Milano Ambrogio e le pie lacrime di sua madre, santa Monica, hanno certamente cambiato la sua esistenza, tanto da abbandonare la vita mondana e spensierata per accogliere il dono della fede, chiedendo lui stesso il Battesimo. La sua vita cristiana diventa così impregnata di Cristo che da uomo senza Dio qual era, venne poi consacrato vescovo di Ippona, una delle città più importanti dell’Africa settentrionale. Non è mai troppo tardi, quando ci lasciamo appassionare da Cristo e la nostra fede ci spinge sempre di più verso di Lui. Solo così, scossi dalla voce dello Spirito, più che dal suono di una campanella, impareremo che la preghiera è un movimento verso il Signore, un desiderio profondo di Dio.

Desiderare: de-sidera, ovvero puntare alle stelle; per imparare che la nostra preghiera non è fatta solo di parole ripetute, ma dal nostro cuore che è tutto avvolto da Dio, abbiamo bisogno di imparare a pregare con attenzione. Sì, capiterà a volte di essere un po’ assopiti, come gli studenti mentre, sul pullman, si recano a scuola, o distratti perché durante la lezione ci vengono in mente molti pensieri; tuttavia il nostro pregare ci eleva, come sul monte più alto che Isaia ci ricorda, il monte del tempio del Signore, per gustare la presenza del Signore. Impariamo dunque a pregare col cuore e non solo con le labbra, con attenzione e non solo a memoria, perché il nostro desiderio, anche innato, di Dio, possa trasformare tutta la nostra esistenza e come Agostino potremo dire: “ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”.

Che la nostra sveglia ogni giorno sia la preghiera; che la preghiera mantenga sveglia ogni giorno la nostra fede.