VII del tempo ordinario A

19 febbraio 2023

 

Non si ferma la voce del Signore che vuole portare a compimento i comandamenti che Dio ha dato al popolo d’Israele per mano del suo servo Mosè; non si arresta la voce del Signore nel dire: «Avete inteso che fu detto, ma io vi dico». Ma di fatto, cosa abbiamo inteso? Questa domanda non è fuori luogo, visto che preferiamo intendere la Parola del Signore per quanto ci fa comodo.

«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio»: a noi il famoso “porgi l’altra guancia” non piace proprio. Potremmo dire che siamo tanto avanti con la tecnologia, con la scienza, con il modo di pensare, ma tanto indietro rispetto al Vangelo che viene giudicato vecchio dalla mentalità di oggi. Siamo ancora all’antico testamento per quanto riguarda la regolazione dei conti. In realtà non dobbiamo dimenticarci che Dio aveva detto: “Occhio per occhio e dente per dente”, perché la legittima difesa fosse equa e non sbilanciata: se tu cavi un occhio a me, io posso cavartene uno e non tutti e due e lo stesso vale per i denti; oggi potremmo fare una lista lunga di esempi, ma il concetto è chiaro. Il Signore Gesù ci chiede di non fermarci a questi comandamenti e a tutti gli altri, ma di fare un passo oltre. Il “porgi l’altra guancia” non significa soccombere di fronte al nemico o sfidare l’altro prendendolo in giro, ma offrirgli la guancia perché possa decidere se sferrare un altro pugno o, vedendosi amato e perdonato, possa elargire una carezza. Se infatti andassimo avanti a “botta e risposta”, non ci sarebbe più fine alla violenza. Ne sono prova i conflitti mondiali, quello tra Ucraina e Russia da un anno, quello in Siria da decenni, tra ebrei e palestinesi da secoli e così via: è dai tempi di Caino e Abele che l’uomo sta usando violenza per giustificare la propria difesa e per accaparrarsi le ragioni del proprio attacco. Se passassimo di più dall’ “Occhio per occhio e dente per dente” al “porgi l’altra guancia”, forse oggi non saremmo qui a pregare e a implorare la pace per il mondo, perché ogni uomo, noi compresi, nel proprio piccolo sarebbe operatore di pace, di concordia, di perdono. E invece no: non ce la facciamo; siamo sempre in gara e in competizione. Leggiamo diversamente il detto “dente per dente”: uniamo il “per” alla parola “dente” e ne uscirà “dente perdente”, perché chi pensa di vincere usando questa logica, ne uscirà perdente come uomo, come cristiano, come figlio di Dio.

Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. Per odiare il nemico, quello che ci ha rubato un pezzo di terreno, quello che possiede di più, che fa più bella figura, che è più quotato e ha più successo, non abbiamo problemi e non dobbiamo metterci troppo impegno: ci viene spontaneo e naturale; arrivare addirittura ad amarlo è praticamente impossibile. Lo sapeva già il Signore e per questo ha detto: pregate. La preghiera, che alimenta la nostra fede, è importante, non tanto per attirare Dio dalla nostra parte – e questo già lo abbiamo detto, lo sappiamo e lo diremo ancora – ma per spostare noi dalla parte di Dio, agendo come agisce Lui, comportandoci come si comporta Lui, guardando i nemici o quelli che più ci stanno antipatici come li guarda Lui; comprendiamo allora le parole che Cristo prende dall’antica legge: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Quel “siate perfetti” diventa un augurio, una sollecitazione, un incitamento per noi a tendere a Dio, a cercare di essere come Dio, ben sapendo che mai riusciremo ad essere perfetti se non quando saremo con Lui per l’eternità. Intanto però non dobbiamo perderci d’animo e la Quaresima, ormai alle porte, mentre mediteremo la preghiera che Gesù ci ha insegnato, il Padre nostro, sarà occasione per invocare il Padre celeste perché su questa terra ci aiuti ad essere migliori, se non perfetti: migliori nel rapportarci a Lui per essere migliori nel rapporto tra noi. Preghiamo allora il Padre, affinché ci doni la forza e la capacità di non limitarci a conoscere i comandamenti e attuarli alla lettera, ma ad andare oltre, come Cristo ci ha insegnato; chiediamo al Padre la forza e la capacità di pregare per quelli che vediamo come nemici o per quelli che ci hanno fatto un torto e vedremo pian piano che il comandamento dell’amore diventerà per noi non un’imposizione, ma un bisogno naturale per sentirci sempre più fratelli. Abbandoniamo le antiche maschere della legge, per rivestirci del nuovo comandamento che impedisce le rivendicazioni, le contese, gli asti che coviamo dentro di noi e ci permette di vivere quell’amore e quel perdono vicendevole che sarà una carezza reciproca sulla guancia che porgiamo gli uni agli altri.

Se non riusciamo ad essere perfetti come il Padre nostro celeste, almeno proviamoci ad essere migliori.