XXX del tempo ordinario B

24 ottobre 2021

 

Bartimèo, che letteralmente significa figlio di Timeo, era cieco e sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che passava Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti, però lo rimproveravano perché tacesse. Tutto normale, fin qui: d’altronde questo poveraccio era cieco e per la mentalità del tempo non poteva che essere uno sciagurato, condannato da Dio a questa vita infelice che lo portava ai bordi della strada a chiedere l’elemosina per vivere, per tirare avanti, scartato dalla società e messo a parte da tutti coloro che potevano camminare al centro della strada a testa alta, perché benedetti da Dio – o almeno così si ritenevano –.

Bastasse solo avere una vista buona per sentirsi apposto, degni di essere considerati perfetti davanti a Dio e agli uomini; ma Dio non guarda l’apparenza, l’esteriorità, il fisico: Dio guarda il cuore. Siamo dunque certi di avere una vista buona? Siamo sicuri di vedere alla perfezione? Forse anche noi, che pensiamo di poter camminare a testa alta in mezzo alle strade di questa società ed essere ammirati per la nostra perfezione, in realtà potremmo, come Bartimeo, trovarci un giorno a non vedere più o forse quel giorno è già arrivato e non ce ne siamo nemmeno accorti. Se infatti è valido il detto: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, la stessa cosa si può dire per il cieco che non vuole vedere. Quel cieco posso essere io che non vedo ciò che la Provvidenza di Dio mi sta indicando, una strada nuova, mentre mi ostino a percorrere quella vecchia, fatta ormai di buche e voragini incolmabili, forse; ciascuno di noi può essere quel cieco, quando non riesce a vedere il Signore che passa nella propria vita, quando pensa di aver ragione e non vede alternative chiudendo così gli occhi e il cuore a chi, desiderando il suo bene, vorrebbe anche solo aiutarlo a vedere e ad imboccare una strada migliore. Siamo noi quei ciechi che pensiamo di vedere bene quando ci lasciamo abbagliare da un miraggio scambiando ciò che ci potrebbe rendere felici con ciò che ci appare bello e buono, ma che rischia di lasciarci ai margini della strada con l’amaro in bocca; pensiamo di essere autosufficienti e non ci lasciamo guidare dallo Spirito di Dio, ritenendo che il Signore Dio non abbia nulla a che vedere con le scelte della nostra esistenza.

A tal proposito, c’è una scena di questo Vangelo che non è chiara: mentre Bartimeo gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!», Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Ma come avrà fatto ad andare verso Gesù se la sua cecità glielo impediva? Gesù, se notiamo bene, non si fa vicino a lui, come avvenne in altre occasioni, con altri ammalati o morenti, ma semplicemente lo manda a chiamare. Potremmo dire che Bartimeo può andare verso Gesù perché sente la chiamata del Maestro attraverso i suoi apostoli o altre persone: come non vedere in questa immagine la figura della Chiesa che si fa portavoce della chiamata di Cristo a seguirlo. Quell’uomo non può vedere, ma può sentire e proprio per questo avverte ancor più forte la chiamata del Signore. Ancora una volta Bartimeo diventa immagine nostra, che pur non vedendo per le cecità che ci siamo procurati a causa delle nostre testardaggini, possiamo però sentire la voce del Signore che ci chiama a seguirlo attraverso la voce della Chiesa, attraverso la voce di chi ci sta accanto, attraverso la voce di chi, anche con insistenza e magari con pesantezza, ci sta indicando Cristo come via per la felicità della vita, perché il nostro piede non inciampi nella pietra facendoci rovinare a terra.

Ed ecco che giunto da Gesù si sentì chiedere: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Maestro, che io veda di nuovo!». Anche questa domanda è strana: vogliamo pensare che Gesù non sapesse cosa desiderasse quel cieco? Scontato: la vista. Ma Gesù non da nulla per scontato, come spesso facciamo noi; Gesù vuole tirar fuori i desideri più profondi che stanno nel cuore dell’uomo, ma anche le paure, i timori, i pensieri, le preoccupazioni: ecco perché Gesù, attraverso chi ci sta accanto e semplicemente ci chiede: «Come stai?» desidera farsi vicino a noi, sanare le nostre ferite, condividere i nostri pensieri, farsi carico delle nostre paure e aiutarci a dare una riposta alle nostre domande. Ma perché questo avvenga, occorre aprici a lui e fare in modo che egli, passando in coloro che ci sono vicini col cuore, non ci sfugga, lasciandolo andare oltre e restando per sempre chiusi nelle nostre cecità.

Gesù disse a Bartimeo: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. Sì, è per fede che riacquistò la vista e dai margini tornò al centro della strada, al centro della vita, al seguito di Colui che è il centro di ogni vita, della nostra vita: Cristo Signore. Per fede anche noi, se ci lasciamo incontrare da Cristo e poniamo la nostra fiducia in coloro che Egli ha posto sul nostro cammino, potremo tornare a vedere Lui che, prendendoci per mano, ci chiede: «Come stai?» e, seguendolo nella Chiesa, attraverso la comunità, in coloro che ci vogliono bene, potremo trovare la nostra vera felicità. Tutto questo solo per fede.