XX del tempo ordinario A

20 agosto 2023
 
Una donna, cananea, si rivolge al Signore per implorare la guarigione della figlia. È donna e al tempo le donne contavano nulla; è cananea quindi non appartenente al popolo d’Israele, perciò considerata fuori dalla grazia di Dio. La risposta di Gesù è schietta: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele». Risposta maleducata; oggi qualcuno, fin troppo abituato, direbbe razzista e maschilista. Non c’entra niente tutto questo. È sicuro però che Cristo usa questi preconcetti e la mentalità del tempo non per umiliare la donna, ma per esaltare la potenza di Dio che va ben oltre le idee dell’uomo e per tirar fuori tutta la fede di quella donna, perché solo con la fede si vedono le opere di Dio, mentre se si resta legati ai pensieri dell’uomo è impossibile riconoscere e accogliere quella grazia che solo un cuore aperto e occhi capaci di vedere oltre sanno intravedere e accettare.
Forse anche noi, che siamo più legati alla nostra mentalità, non riusciamo a vedere la grazia di Dio indipendentemente dalla nostra posizione sociale e politica, al di là del nostro essere aperti o chiusi all’accoglienza del forestiero da qualsiasi parte egli arrivi. Il Signore non vuole darci solo lezioni di accoglienza, ma farci comprendere innanzitutto che la sua grazia è per tutti; diversamente saremmo solo capaci di riempirci la bocca di proclami, come fanno molti politici, ma il nostro cuore sarebbe chiuso ancora su noi stessi, come quello di politici e politicanti, preti compresi.
La grazia di Dio che vediamo e accogliamo con gli occhi e il cuore colmo di fede è un’altra cosa. Essa ci aiuta a riconoscere l’opera di Dio nella nostra vita, ci spinge – come quella donna – a rivolgerci a Lui indipendentemente dalla nostra condizione sociale, economica e di provenienza, ma soprattutto ci porta a implorare Dio al di là della nostra vita, santa o colma di peccati. Questo ci porta a guardare a noi stessi, prima ancora che alla condizione degli altri e di questo abbiamo estremamente bisogno. Quella donna, pur sapendo di non essere all’altezza di Dio – perché così pensava l’uomo – non smette di invocare il Signore. Più siamo peccatori e più abbiamo bisogno di rivolgerci a Cristo, innanzitutto per noi e quindi anche per i nostri figli e figlie, per i nostri nipoti e parenti, per i nostri familiari e amici e per tutto il genere umano che, pensandosi sano, sta vivendo oggi senza Dio, riempiendosi però la bocca di opere di misericordia che lasciano il tempo che trovano.
Solo grazie alla sua fede quella donna ha sfondato “il muro” che la separava da Cristo e proprio per la sua fede si è fatta capace di intercedere per la figlia malata. Anche noi abbiamo questa possibilità: attraverso la nostra fede possiamo avvicinarci al Signore come stranieri su questa terra, perché coscienti che la nostra patria è nei cieli, e proprio perché peccatori possiamo urlare la nostra richiesta: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide!». Questa donna ci è di grande esempio: non chiede subito ciò che più le sta a cuore, ovvero la guarigione della figlia, ma che prima di tutto Gesù Cristo abbia pietà di lei. Ci insegna che davanti al Signore non si va pensando di essere apposto, forse per tutti i proclami di cui sopra, ma si è sempre peccatori, ma non per questo così miserabili da non essere ascoltati da Dio. Solo riconoscendo i nostri peccati, i nostri limiti, le nostre fragilità umane saremo spinti a rivolgerci al Signore, perché riconosceremo finalmente che senza di Lui la nostra vita cadrebbe nel baratro della disperazione, del vuoto e del non senso, come guardandoci in giro vediamo davanti a noi. Allora – e solo allora –, riconoscendo che la nostra vita è vuota senza il Signore, potremo chiedere la grazia della salvezza per noi e quanti portiamo nel cuore, per quanti ci circondano e per quanti non amiamo abbastanza perché considerati estranei, cioè stranieri, da noi stessi. Senza la fede che spinge a Cristo non riusciremmo a riconoscerlo come Colui al quale rivolgerci per chiedere le cose grandi e importanti della vita, non riusciremmo a chiedergli neppure una briciola di pane, benché Lui, Cristo, nel suo pane ci ha dato tutto se stesso. No, senza gli occhi della fede non riusciremmo proprio a riconoscerlo.
Il profeta Isaia prima e l’apostolo Paolo poi, ci ricordano che la salvezza non è solo per alcuni e che la grazia di Dio non è per i più bravi, ma per tutti: siamo chiamati alla salvezza solo per la misericordia e l’amore che Dio ha per ciascuno. Il problema di oggi non è chi siamo o da dove veniamo, ma ciò che non vediamo, ovvero la presenza del Signore nella vita dell’uomo, perché l’uomo si è fatto signore della propria vita. E così anche quando, immersi nella prova e nella sofferenza propria o per gli altri, gridiamo come la donna: «Signore, aiutami!», non riusciremo a vedere la sua opera, perché i nostri occhi e il nostro cuore, anziché pieni di fede, sono pieni di noi stessi, dei nostri pensieri, delle nostre idee. E non riusciremo neanche a farci intercessori per gli altri, ma solo saremo capaci di dire: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!» e – aggiungiamo pure – ci da un po’ fastidio.