XXII del tempo ordinario A

3 settembre 2023

 

Colpiscono le parole del profeta Geremia: Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Ma perché urliamo, perché gridiamo? Non basta parlare? Urliamo quando vogliamo farci sentire, gridiamo quando vogliamo imporci, urliamo per sgridare e gridiamo per reprimere. Ma siamo sicuri che non ci siano altre e alte grida che non sentiamo e urla che non vogliamo ascoltare? Siamo certi che le nostre grida siano solo per imporci sugli altri e non piuttosto su noi stessi? Geremia sembra proprio gridare non solo verso il popolo, del quale è diventato vittima di ironia e derisione, ma l’urlo più grave lo innalza per coprire la voce del Signore che continua a chiamarlo ad essere suo profeta.

Pensiamoci bene: quante volte dentro di noi si fa sentire la voce di Dio e noi vogliamo coprirla con suoni assordanti, con voci stridenti, con urla disumane? Dio ci parla, senza alzare la voce, ma la paura di seguirlo è talmente forte che si scatena un chiasso dentro di noi, proprio come quando ci viene dato un consiglio o un’indicazione o una semplice avvertenza che può risultare scomoda e per questo non ascoltiamo chiudendo i canali di comunicazione e dentro di noi ci convinciamo dell’esatto contrario.

Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo. Quanto sono attuali e vere queste parole di Geremia: più non vuole pensare a Dio e più non riesce a farne a meno. Forse anche noi abbiamo sperimentato questo, magari non con il Signore, ma con qualche persona: più vogliamo dimenticare, più il legame è così profondo da non spezzarsi neanche a volerlo; più vorremmo dimenticarci di Dio, dei suoi precetti, delle sue parole, più Egli fa nascere nel nostro cuore la nostalgia di Lui.

Questo l’ha sperimentato anche Pietro: colui che aveva professato un momento prima la sua fede nel Cristo, Figlio del Dio vivente, non si accontenta di essere solo suo discepolo. Pietro ci ha provato in tutti i modi, anche involontariamente e in buona fede, a fare da maestro a Cristo, a mettersi davanti a Lui, forse per proteggerlo, per fargli vedere quanto la sua vita gli stia a cuore. Per essere discepoli è necessario, invece, mettersi dietro al Maestro, per questo Pietro viene sgridato e  si sente e dire: «Vade retro, mettiti dietro!». Non sopportiamo di avere qualcuno davanti e lo sa bene chi alla guida ha un piede pesante sull’acceleratore: nessuno vogliamo che ci stia davanti sul tratto di strada che percorriamo, non per voler primeggiare, ma per avere la carreggiata libera e muoverci a tutta velocità. Guidare dietro ad un’auto lenta, dietro ad un furgone o peggio ancora ad un camion con tanto di rimorchio è da delirio perché, non solo rallentano la velocità, ma impediscono la visuale: ma per andare piano, sano e lontano occorre chi ci si piazza davanti e ci mette un freno; questo non solo sulla strada, ma anche nella vita. Vogliamo la strada libera, per farci sentire “strombazziamo” di clackson, per non udire il caos di chi viaggia con noi e attorno a noi alziamo il volume dell’autoradio, così pure per paura del silenzio che ci fa pensare. Pietro, che si è posto a tutta velocità davanti al Maestro, ha alzato la sua voce per sovrastare quella di Cristo - «Questo non ti accadrà mai, Signore!» - e  ha pensato di prendere in mano lui la guida senza conoscere la strada: in realtà, abbiamo bisogno di chi, anche scomodamente, ci freni, abbassi i nostri volumi, ci aiuti a guidare la vita in modo corretto e per la via giusta.

Dovremmo trovare il tempo del silenzio, il tempo per metterci davanti al Signore e davanti a noi stessi per chiederci: cosa vogliamo nella nostra vita, chi vogliamo seguire, chi vogliamo imitare, da chi vogliamo farci notare, quali sono le parole importanti che ci vengono annunciate, quali sono quelle che ne vale la pena seguire, anche se per paura che siano troppo vere vorremmo dimenticarle subito insieme a chi ce le ha annunciate?

Farà male quel silenzio, ci sembrerà di perdere tempo o addirittura potrebbe aprire ferite che pensavamo di aver chiuso bene, ma Geremia ci insegna che più vogliamo chiudere, più la Verità bussa al nostro cuore e più vogliamo mettere da parte il Signore, più la sua Provvidenza ci porta, non dove vorremmo noi, ma dove desidera Lui.

Stiamo in silenzio e mediamo le parole dell’apostolo Paolo: vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter comprendere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Stiamo in silenzio per lasciare parlare il nostro cuore, che con il salmo prega: O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua. 

Se non abbiamo il coraggio di ascoltare la Verità, lasciamoci almeno cercare e trovare dal Signore, Lui che è Via, Verità e Vita.