XXVIII del tempo ordinario A

15 ottobre 2023

 

C’è un sostantivo che spesso utilizziamo per indicare persone e oggetti che vogliamo includere senza darne una specificazione. Detto così sembra di aver davanti una parola della quale facciamo fatica a comprenderne il significato; invece no: la parola che usiamo è “Tutti”. Tutti, tutto, decliniamola come vogliamo, ma in questa espressione così piccola, vogliamo sempre racchiudere qualcosa di grande. Isaia ci dice: Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto; Paolo scrive: Tutto posso in colui che mi dà la forza; Gesù racconta: Tutto è pronto; venite alle nozze! Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono.

Quando non sappiamo a chi dare torto, su chi scaricare la responsabilità o non riusciamo a trovare il colpevole, ci limitiamo a dire «Tutti»; quando non possiamo lodare solo qualcuno o non vogliamo dimenticare qualcun altro nei ringraziamenti al termine di un evento, racchiudiamo in un «Tutti» coloro che in un modo o nell’altro hanno contribuito, sostenuto, partecipato, messo in scena l’evento stesso.

E nella Sacra Scrittura cosa vorrà mai significare?

Se l’uomo racchiude in un sostantivo la massa, per Dio ogni uomo ha un volto e una storia perché, se nella mischia tutti si uguagliano, davanti al volto di Dio ciascuno è importante per ciò che è e non per ciò che ha. Dunque, il Signore prepara per ognuno il suo banchetto, la festa di nozze con l’umanità intera e da essa nessuno è escluso, ma sono piuttosto le persone stesse a rifiutare l’invito del Signore escludendolo dalla propria vita con mille scuse. Dio, nostro Padre, non può che desiderare che tutti i suoi figli convengano a questa festa che è l’incontro con Lui, per partecipare alla gioia della relazione con Lui, all’entusiasmo dell’appartenergli senza essere trattenuti. L’uomo, al contrario, cercando solo se stesso e di imporre la propria persona, si allontana da Dio con le armi, con la violenza, con le atrocità. E l’uomo barbaro chi colpisce? Tutti. L’uomo rifiuta l’invito di Dio dedicandosi più ai propri affari, all’accumulo di denaro, al prestigio economico che spesso sfociano in guerre orribili. E queste guerre chi colpiscono? Tutti.

Comprendiamo il valore di queste cinque lettere quando, guardando le malvagità dell’uomo, ognuno si sente coinvolto, toccato nel profondo del cuore, partecipe del dolore di chi subisce tali violenze pur non essendone coinvolto fisicamente. Tutti ci sentiamo un po’ responsabili di questo quando, allontanando da noi il Signore, Dio della pace e della riconciliazione, finiamo per creare divisioni e discordie, che nel piccolo coinvolgono qualcuno, ma nella vastità del mondo coinvolgono tutti.

“Tutti” allora non è un contenitore nel quale mettere qualsiasi cosa per nascondere e nasconderci, ma per lasciarci coinvolgere sempre di più, sapendo che il Signore quando dice «Tutti» ha ben presente il volto e la storia di ognuno.

Tutti i popoli sono amati da Dio e per tutti Dio ha dato il suo Figlio, quel figlio che ha preparato la festa di nozze, quel Figlio che dai più vicini è scartato e dai più lontani abbracciato. Tutti noi, ciascuna persona è chiamata a partecipare della grazia di Dio, della salvezza che solo Lui può darci: come ci poniamo di fronte al Signore? Come accogliamo ogni domenica l’invito del Signore alla sua mensa? Quanto gustiamo la gioia di sederci a tavola con Lui e con tutti gli invitati della nostra comunità? Perché quando ci sentiamo scartati o messi da parte o non invitati a un momento di festa dato da una persona, alla quale in un modo o nell’altro siamo legati, ci risentiamo, mentre quando siamo invitati dal Signore stesso non ci facciamo problemi a declinare l’invito? Siamo strani: facciamo della parola “tutti” un nome impersonale per non lasciare fuori alcuno, per non sentirci additati, per nasconderci bene nella mischia, ma quando Gesù Cristo ci dice che davanti a Dio non siamo una persona qualunque e ci mostra il desiderio del Padre di avere con sé i suoi figli radunati alla sua mensa, allora prendiamo scuse e scusanti.

Chiediamo forza al Signore, perché ci doni il suo Spirito che ci aiuti ad avere coraggio: coraggio di non abbandonare la vita di fede, coraggio di non declinare l’invito del Signore a partecipare alla salvezza, coraggio di educare all’incontro con Dio per saper discernere i segni del nostro tempo; coraggio di ripudiare ciò che ci divide e imbracciare la volontà di pace; coraggio di muovere i nostri passi, come quelli di Maria, che si alzò in fretta e andò. Andiamo anche noi verso i fratelli, facciamoci missionari del Vangelo, missionari dell’invito del Signore a partecipare alla sua mensa, alla festa che ogni domenica imbandisce per noi. Alziamoci in fretta e andiamo come veri missionari ad annunciare la bella e buona notizia del Vangelo che si incarna nei nostri gesti e parole. Ascoltiamo la voce del Signore che ci dice: «Andate ora e tutti quelli che troverete, chiamateli alla festa». Ci siamo mai alzati in fretta e siamo mai andati anche solo da qualcuno per invitarlo alla Messa, al banchetto del Signore? Anche questa è missione.