XXXI del tempo ordinario A

5 novembre 2023

 

Troppo comoda prendersela con la gente comune, tuonando dal pulpito. È cosa buona e giusta che il prete si guardi bene allo specchio e si faccia un serio esame di coscienza prima di dire ai fratelli cosa debbano fare. Infatti Dio, per bocca del profeta Malachìa, se la prende proprio con loro e senza mezze misure: «Ora  a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su voi la maledizione. Voi avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento. Perciò anche io vi ho reso spregevoli e abietti davanti a tutto il popolo, perché non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento». E Gesù non è tanto più docile: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente».

Mi inquieta questa parola, perché mi pone davanti alla mia gente chiedendomi non cosa sto facendo per la mia comunità, ma come la sto servendo. È facile cadere nella tentazione di essere elogiato per la grande quantità di opere e di iniziative, ma la vera questione è il desiderio di servire una comunità in modo disinteressato, sulle stile di Cristo che l’apostolo Paolo ha incarnato con i suoi cari amici e discepoli, tanto da scrivere ai Tessalonicesi: Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Non basta questo, anche se sembra tanto. Paolo aggiunge: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. Ecco, questa è la vera scommessa: potrei fare tanto, attorniarmi di tante persone amiche che plaudono ad ogni iniziativa, costruire e sistemare molti edifici, aggregare molte persone e tanti ragazzi, ma se non annunciassi il Vangelo sarei – e con me ogni sacerdote – uno scriba e un fariseo, capace di andare in televisione e su tutti i giornali locali, un aggregatore da villaggio, ma non un annunciatore del Regno di Dio e non un servitore della comunità che il Signore, non per mio merito, mi ha affidato.

Certo, la parola di Dio e il Vangelo di Gesù Cristo mi interpellano, mi scuotono, mi fanno tremare gambe e mani, ma è ancora Paolo ad aiutarmi a guardare avanti. Egli infatti, insieme ai suoi collaboratori, non si vanta di ciò che ha fatto, ma con umiltà ringrazia Dio per ciò che Lui, il Signore, ha operato nella comunità attraverso l’annuncio evangelico. Egli infatti appunta: Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti.

Nei momenti di sconforto, quando i banchi della chiesa sono vuoti, gli incontri disertati, l’apatia verso il Signore e verso la comunità dilaga, guardandomi nel cuore come in uno specchio, non posso far altro che chiedermi: «Tu, sacerdote di Cristo, hai annunciato il suo Vangelo o ti sei preoccupato più dei numeri, della partecipazione, di fare bella figura? Tu, sacerdote di Cristo, ti sei preoccupato più dei risultati e dei consensi ricevuti o di portare la salvezza del Signore alla tua gente, mostrando loro il bel volto di Dio, la sua tenerezza, il suo essere un Dio misericordioso, ma nello stesso momento esigente – perché la vita che ci ha donato non è un giochino o una storiella da ragazzi –, un Dio che ama i suoi figli e per loro ha donato tutto in Cristo? Quali sono le tue priorità: andare verso i fratelli portando il Signore, o attirare i fratelli con la tua immagine?».

San Carlo Borromeo pronunciò questo “Discorso” nell'ultimo Sinodo: «Hai il mandato di predicare e di insegnare? Studia e applicati a quelle cose che sono necessarie per compiere bene questo incarico.  Prèdica prima di tutto con la vita e con la santità, perché non succeda che essendo la tua condotta in contraddizione con la tua prèdica tu perda ogni credibilità. Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue siano state lavate; e «tutto si faccia tra voi nella carità» (1Cor 16,14). Così potremo facilmente superare le difficoltà che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal compito affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri». ​(Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, 1177-1178)

Ed ecco che è Gesù Cristo a guardarmi, spero con misericordia, e a dire a me, a noi sacerdoti, a quanti nella comunità hanno un compito di pastori, di guide e di maestri: «Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo».

Con il salmista non posso che elevare a Dio la mia preghiera:

Signore, non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me.

Io invece resto quieto e sereno:
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è in me l’anima mia. 

Israele attenda il Signore, da ora e per sempre.