Cristo Re A

26 novembre 2023

 

Quanto è difficile la carità. Un giorno, quando saremo davanti a Dio, Egli non ci chiederà a quante Messe abbiamo partecipato o quanti rosari abbiamo recitato o quante preghiere abbiamo detto. Ci chiederà piuttosto quanta carità abbiamo usato verso il prossimo. Con questo non possiamo giustificare le nostre assenze o la mancata preghiera, perché è proprio grazie alla nostra fede, alla nostra partecipazione attiva alla Messa e alla nostra preghiera che alimentiamo la carità vera; diversamente potremo fare tutto il bene di questo mondo, ma se non viene dal Signore che è l’Amore, che è la Carità fatta carne, il nostro agire sarà solo puro assistenzialismo sociale fine a se stesso, volto solo alla ricerca di una gloria personale che dura quanto il tempo di un fuoco di paglia. Guardiamo ancora a Maria: quando decise di alzarsi in fretta e di andare dalla cugina Elisabetta bisognosa di aiuto a motivo della sua tarda età e della gestazione in corso? Maria decise di partire dopo aver ricevuto dall’angelo Gabriele il messaggio di Dio che le chiedeva di diventare la madre di Cristo; non le disse di compiere un viaggio assai impegnativo per spirito di bontà o di pietismo. Nella fede Maria accettò, si fidò di Dio non senza dubbi o turbolenze, ma è proprio in virtù dell’Amore che Dio aveva generato in lei che si alzò e in fretta andò dalla lontana parente. La carità non può che essere generata dalla fede, l’amore da Dio in Cristo Gesù.

Quanto è difficile la carità.

Era il 2 novembre, qualche settimana fa, giorno nel quale ricordiamo ogni anno tutti i defunti e li suffraghiamo con la nostra preghiera che ci apre alla fede nella risurrezione, come annuncia Paolo ai Corinzi; proprio in quel giorno ricevevo la notizia che il ragazzino, visto con la coda dell’occhio in una stanza dell’hospice due mesi prima, era morto da qualche giorno. Avevo chiesto nelle messe di quella domenica di inizio o metà settembre di pregare per lui. Un gesto di fede, ma anche di carità sincera, che ha smosso gli animi di molte persone. Ebbene, ricevevo la triste notizia della morte di Daniele, di soli 13 anni, proprio mentre mi accingevo a celebrare la seconda Messa prevista per il giorno dei defunti, che ha come vangelo il giudizio universale – proprio come oggi –. E mentre, durante la Messa, leggevo il passo: «Ero malato e mi avete visitato» e la sentenza: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato», il mio pensiero è andato a quel giorno quando, vedendo Daniele – del quale allora non conoscevo ancora il nome – io non ho avuto il coraggio di compiere due passi per entrare nella sua camera e chiedergli: «Ciao, come ti chiami?» e – anche se rivolgere la classica domanda a chi giace in quel letto può sembrare stupido – avrei comunque potuto aggiungere: «Come stai?», ben sapendo che la risposta poteva prendere una piega o l’altra. Ma ciò che contava non era la domanda in sé, ma la visita, la vicinanza e anche se la domanda poteva sembrare sciocca, avrebbe potuto aprire certamente un dialogo. E invece no, mi si è chiuso il cuore, ho abbassato lo sguardo e anziché muovere due passi – non un’infinità come quelli di Maria per andare da Elisabetta, ma due per avvicinarmi al suo letto – anziché muovere quei passi sono andato per la mia strada, percorrendo il corridoio verso altri ammalati della comunità. E adesso mi risuonano alle orecchie le parole del Signore: «Ero malato e non mi avete visitato, perché tutto ciò che avete o non avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete o non l’avete fatto a me». Io non lo so perché non ho avuto il coraggio; forse ero troppo incredulo nel vedere un ragazzino in fin di vita, ma questo non mi giustifica.

Di una cosa sono certo: il Signore, quando vorrà e quando sarò davanti a Lui, non mi chiederà quante Messe ho celebrato, pur avendole segnate tutte nella mia agenda dalla prima fino a questa che sto celebrando, e non mi domanderà se ho detto il Rosario tutti i giorni o il breviario nei diversi momenti che scandiscono ogni giornata, ma credo proprio che le Messe che celebrerò e le diverse forme di preghiera che tengono viva la mia piccola e fragile fede, mi daranno la forza e il coraggio di muovere non un’infinità di passi, come Maria, ma anche solo due, per alzarmi in fretta e andare verso quel fratello più piccolo e chiedergli: «Ciao, come ti chiami?» e, perché no, anche: «Come stai?».

Allora, quel giorno, il Signore non dirà: «Andate!», ma: «Venite benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo».