II di Avvento B

10 dicembre 2023

 

La porta si è aperta per entrare non soltanto in un luogo chiuso; si può passare da un luogo all’altro entrando come, ad esempio, nel deserto, addentrandosi tra speroni e sabbia, tra rocce e luoghi aridi. Entrare nel deserto comporta uno stile e questo stile ce lo offre Giovanni Battista che era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. Il Battista non ci dice come dobbiamo vestire al giorno d’oggi e nemmeno cosa dobbiamo mangiare, benché il suo modo di vestire e il cibo di cui si nutriva ci parlano di uno stile di vita di cui vestirci e nutrirci. È lo stile del necessario contro il superfluo, di ciò che basta contro ciò che ci appesantisce e ci impedisce di muovere quel cammino di cui ci parla l’orazione di questa domenica: Dio grande e misericordioso, fa’ che il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il tuo Figlio. Come potremo affrontare un cammino verso Cristo, se saremo appesantiti da pensieri e progetti che impediscono a Lui stesso di entrare nella nostra vita? Come ci potremo addentrare nel deserto con l’opulenza di chi ha tutto e vuole ancora di più, con il desiderio sfrenato di possedere e di arricchirsi? Come potremo entrare nel deserto con ciò che non serve? Come potremo impegnarci nel mondo, se saremo ostacolati da ciò che frena il nostro cammino?

Dobbiamo rivestirci di essenzialità per vedere nel deserto il luogo nel quale tornare a ciò che è necessario, per non soffocare sotto quel materialismo che ci fa sprofondare nella sabbia della freddezza verso Cristo e verso quei fratelli nei quali troveremo Cristo, perché camminare verso il Signore implica direttamente saper camminare verso i fratelli, verso chi è messo da parte, verso quel bambino con il quale nessuno vuol giocare, verso quell’adulto che vive da solo, verso quel nonno e quella nonnina che non han più alcuna persona che fa loro visita. Consolate, consolate il mio popolo, dice il Signore per bocca di Isaia: consolare significa non lasciare solo, ma per farlo occorre udire il grido silenzioso di chi è solo. Quante persone anche nelle nostre comunità sono sole e nessuno se ne accorge, nessuno ci fa caso, perché siamo troppo impegnati a guardare a noi stessi, ai nostri vestiti, ai nostri modi di mangiare e alle nostre tavole imbandite, senza avvertire la voce di chi grida nel deserto della nostra insensibilità. Ormai non è più fuori dal normale trovare ragazzini che squadrano un compagno o una compagna per poi esprimere un parere tra loro su come sia vestito o vestita, ridere tra i denti o esplicitamente e ascoltare dalle loro bocche commenti banali e spesso umilianti. Non è strano trovare noi adulti che ci lasciamo andare a giudizi insensati, magari condivisi davanti ai ragazzi stessi che imparano da noi, come se non bastasse imparare dal mondo in cui vivono e sono immersi.

Entrare nel deserto significa tornare all’essenziale, come era Giovanni Battista, figlio di Elisabetta, che nel deserto predicava la conversione dei peccati vestito solo di essenzialità. Da chi l’avrà appresa questa essenzialità? Sicuramente da sua madre Elisabetta e dalla cugina Maria, donne essenziali. Chi è essenziale sa cogliere ciò che serve, sa vedere nei fratelli ciò che conta e donare loro non il superfluo. Entrare nel deserto per scorgere in se stessi e negli altri l’essenziale, significa entrare in se stessi per trovare rifugio dalla superficialità che non ci fa considerare gli altri per ciò che sono ma per ciò che hanno, riducendo la carità a un puro atto di assistenzialismo per sentirsi a posto in coscienza.

Dobbiamo trovare il coraggio di tornare alle cose essenziali, come essenziale nel deserto è fare economia di quanto abbiamo nello zaino come approvvigionamento. Fare economia significa amministrare bene ciò che abbiamo: nel deserto non possiamo sprecare cibo, non possiamo sprecare bevande. Tutto è ben calcolato per sopravvivere. Ci farà bene trovare il coraggio per saper amministrare i nostri beni, non solo materiali, ma anche relazioni e sociali, anche a favore dei fratelli bisognosi. Ci vuole coraggio per entrare nel deserto come ci vuole coraggio per dedicare se stessi agli altri, vincendo le nostre superficialità a favore dell’essenzialità, quell’essenzialità che non guarda la marca delle scarpe o la firma dei vestiti, che non aspetta l’ultimo cellulare da esibire o l’auto nuova da mostrare, ma desidera rivestire l’altro della stessa carità che ha spinto Maria ad entrare nel deserto della Giudea, con tutti i rischi e pericoli, per arrivare a tendere una mano alla cugina Elisabetta.

Udiamo la voce che grida nel deserto: preparate la venuta del Signore! Sì, maranathà, vieni Signore! Udiamo la voce di chi è solo e scorgeremo la voce del Signore che invita a percorrere il deserto dell’essenzialità a favore dei fratelli e proclamare con loro: siamo deserto, siamo arsura: maranathà, vieni Signore!