IV di Avvento B

24 dicembre 2023

 

Cosa ha spinto Maria ad entrare nella casa di Elisabetta? Semplicemente il fatto stesso che l’angelo prima era entrato nella sua casa e con lui Dio. Poiché l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine di nome Maria, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe, ed entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te», Maria non ha esitato a portare il suo Signore, che già era in lei, alla cugina bisognosa di un aiuto, secondo quanto l’angelo stesso le annuncia: «Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Insomma, quando Dio entra nella nostra vita, non solo la cambia in meglio, ma ci spinge a portare il suo amore e la sua carità anche ai fratelli. Maria non si perde in chiacchiere, in pettegolezzi, in curiosità sterili: subito, lasciando la città di Nazareth, si alza in fretta per raggiungere la città di Elisabetta.

La città. Per far comprendere a che punto sia il viaggio, siamo soliti dire: «Sono entrato in città da poco». Ci sono diverse tipologie di città nelle quali entrare: la vecchia città con i suoi palazzi, come era Sion, la città che Davide consolidò con la sua reggia di cedro e le sue torri; una città imponente, come Gerusalemme, la città santa, la città ancora oggi contesa; oppure la città moderna che viviamo oggi con le sue strade e la sua frenesia nel traffico quotidiano e nel caos di ogni ora. Che belle queste città: immagino la Gerusalemme di Davide, con il suo andirivieni di persone, di carri, di cavalli, di commercio e di mercato; e poi guardo alle nostre città: la magnifica Roma con i suoi monumenti eterni e le sue basiliche; la Milano vestita a festa per il patrono e per il Natale, la sua piazza Duomo così affascinante e colma di visitatori, dai curiosi di prezzi esposti in Galleria alle persone meravigliate, come me, da quel clima festoso che, pur non essendo amante del caos, affascina; la nostra amata Bergamo, con il suo viale centrale, i suoi propilei rivestiti di luce, gli sberluccichii della Corsarola e di Piazza Vecchia in città alta, le auto che ingorgano le vie grandi come quelle piccole, i parcheggi sempre pieni e le persone che corrono a destra e a manca sempre in ritardo. Cosa significa per noi la città? Solo un luogo frenetico che può affascinare o incasinare a seconda del nostro stato d’animo, più o meno incline alla frenesia?

Entrare nella città significa imbattersi nella frenesia dei nostri tempi, forse solo un po’ diversa rispetto alla Gerusalemme del tempo di Davide. Entrarci come Maria, significa invece portare l’Amore che in lei si è fatto carne grazie al suo «Sì», Cristo, che vince la frenesia della modernità, che vince quell’anonimato che si respira insieme allo smog che dipinge di grigio i palazzi e i condomini. Spesso diventa così il nostro cuore: grigio, apatico, frenetico, soprattutto in questi giorni di corsa ai regali. Non ci guardiamo in faccia, ci scontriamo sui marciapiedi della città e neanche ci chiediamo scusa; ci pestiamo i piedi, come in un metró o su un tram e siamo attenti solo al fatto che non ci freghino il portafogli. Ma della vita degli altri cosa ci importa? Il problema è che questa frenesia la portiamo anche nei nostri paesi, che sembrano ancora intonsi, e invece si stanno rivestendo di quel grigiore di apatia che ci fa sentire vicini, ma non ci fa vivere da fratelli (cf. Benedetto XVI, Caritas in Veritate).

A proposito di città e paesi ecco due storie.

Ricordo un giorno, da diacono, sceso in città per la benedizione di una salma che poi sarebbe stata portata al paese per il funerale, entrai nell’androne del condominio nel quale era stata adagiata la bara del defunto per il rito. Mi colpì il fatto che, proprio mentre impartivo la benedizione e recitavo le debite invocazioni, passavano condomini e neppure si fermavano per un attimo di raccoglimento, chi addirittura col proprio cane al guinzaglio, e senza neanche uno sguardo, se ne andava per i fatti suoi. Mi sono chiesto: ma non si conoscono tra condomini? Possibile questa freddezza? Il calore delle nostre magnifiche città addobbate a festa per il Natale, si mescola con la freddezza dell’apatia e l’ansia della frenesia che ci portano a calcolarci gli uni gli altri come semplici numeri.

Entrare nella città degli uomini con lo stile di Maria, vuol dire lasciare che si incarni in noi l’Amore che porta ogni uomo e donna a trasformare i nostri paesi, le nostre comunità e le nostre città in luoghi di carità sincera. È di questi giorni la confidenza di una persona, la quale mi dice che, trasferendosi qui in paese, trova bello poter passare del tempo a parlare con una signora novantenne, abitante nello stesso condominio, che si sente sola; e mi confessa: «In città questo non mi era possibile: tutti corrono, non ci si guarda in faccia e nemmeno ci si saluta». Ho pensato: allora la carità è nascosta, ma ancora possibile nei nostri semplici paesi, quella carità che vince le nostre frenesie e ci permette di trovare tempo per far compagnia a chi è solo; ciò significa che il tempo della carità semplice e autentica non è terminato!