III del tempo ordinario B

21 gennaio 2024

 

La questione del tempo è quanto mai accesa nell’animo dell’uomo. Non ne abbiamo mai, lo rincorriamo come fosse un treno ad alta velocità che non ferma in stazione, lo misuriamo come se non ci fosse un domani e siamo sempre pronti a lamentarci se non otteniamo subito ciò che vogliamo. Diventiamo pazzi girando come trottole a destra e a manca, a volte senza sapere cosa desideriamo e verso cosa andiamo, quali progetti abbiamo nella vita e cosa vogliamo fare. Corriamo con il rischio di sbattere il naso contro qualcosa di più grande di noi, di non ben definito, di vago. A volte corriamo per il gusto di correre, per dire a noi stessi e agli altri che la nostra vita è attiva, che lavoriamo tanto, che produciamo molte cose e spendiamo energie a non finire. Tutto questo per cosa? Per Chi?

Nella parola di Dio ricorre frequentemente la questione del tempo. Giona deve annunciare agli abitanti di Ninive che il Signore concede loro quaranta giorni per convertirsi, altrimenti sarà la fine per questa grandissima città. Paolo ai Corinzi sottolinea come il tempo si sia fatto breve. Gesù, dopo aver proclamato: «Il tempo è compiuto: convertitevi e credete al Vangelo», subito chiamò i primi discepoli dalle loro barche e subito i discepoli seguirono Gesù lasciando il loro lavoro.

Quaranta giorni di tempo possono essere tanti, ma anche pochi: per concludere un progetto è un tempo relativamente breve, per stendere un bando è un lampo, per chiudere una pratica d’affare è un periodo risicato; per convertirsi, invece, sembra un tempo infinito, come se per la nostra conversione non occorra dedicare una durata eccessiva, sempre che di conversione abbiamo bisogno o almeno così pensiamo.

“Chi ha tempo non aspetti tempo”, dice un proverbio che la mia nonna mi ricordava spesso: questo è quanto mai vero, soprattutto per quanto riguarda la nostra conversione per seguire il Signore che ci chiama ad essere suoi discepoli, veri pescatori di uomini. Probabilmente pensiamo che non ci sia tutta questa fretta per essere discepoli, che la fretta di Maria per correre da Elisabetta sia un po’ eccessiva, che il tempismo con il quale i discepoli hanno seguito Gesù, abbandonando il lavoro certo per seguire l’ignoto, sia troppo strana, quasi fantasiosa.

Gothe, un grande filosofo, diceva: “Tutto ciò che passa non è che una parabola”; noi dovremmo essere esperti nel vedere che ciò che crediamo di possedere in realtà ci sfugge di mano, come la parabola della vita che ha i suoi momenti alti e poi segue un declino. Se avessimo la coscienza che la nostra vita è come una parabola matematica, non perderemmo tempo a odiarci, a farci la guerra, a trovare ciò che ci divide, a farci concorrenza, a tramare qualche sotterfugio per apparire meglio di qualcun altro. Se comprendessimo che il tempo che ci è dato è sfuggevole, comprenderemmo il “subito” degli apostoli, la tempestività degli abitanti di Ninive nell’attuare la conversione dal più piccolo fino al re della città. Se comprendessimo che il tempo è racchiuso in una clessidra, non ci chiuderemmo in noi stessi esaltando il nostro essere e il nostro fare, ma spenderemmo la nostra vita nella sequela di Cristo e del Vangelo, nell’abbandono fiducioso alla misericordia di Dio e alla sua volontà, nel fare il bene senza profitto, che si chiama carità.

Tempo e sequela – ci mostra il Vangelo – non sono due capoversi o paragrafi distinti: il tempo che abbiamo a disposizione può trasformare la nostra vita portandola alla sequela di Cristo solo se comprendiamo l’importanza della conversione e il verso giusto da seguire ce lo insegna il Maestro, Cristo. Non rimandiamo questo tempo, non crediamo di averne a sufficienza dedicando la nostra vita interamente a noi stessi, ai nostri profitti, alle nostre capacità da mettere in mostra: mettiamole piuttosto a servizio del Vangelo con umiltà, semplicità, dedizione, cercando sempre ciò che ci unisce e tralasciando ciò che ci divide (Papa Giovanni XXIII). Nel pregare per l’unità dei cristiani impariamo a vivere uniti nelle nostre case, nella nostra comunità, negli ambienti di vita quotidiana, per non correre il rischio di chi pensa che tutto riguardi gli altri: la conversione, la sequela, la carità, l’unità, la pace. Fino a quando, infatti, non ci imporremo il “subito” del vangelo che i primi discepoli hanno messo in atto, continueremo a pensare che gli altri debbano convertirsi, che gli altri debbano seguire Cristo, che la carità sia per quelli impegnati nel mestiere, che l’unità e la pace siano una questione dei grandi della terra, dimenticandoci che Cristo ha iniziato a chiamare come suoi discepoli, non i grandi della terra, ma alcuni pescatori, gente semplice e apparentemente ignorante.

Chi ha tempo, non aspetti tempo: che il Signore ci aiuti a crescere nella conversione e nella sequela di Cristo senza aspettare troppo, senza lasciarci andare al ribasso, senza pensare che non sia una questione nostra ma sempre di altri. Il Vangelo interpella tutti, i grandi come i piccoli, le persone importanti e quelle che si credono tali, gli umili come i semplici. Non fuggiamo da questa certezza, perché non avvenga che un giorno il tempo finisca e la parabola della vita giunga al suo termine, avendo corso qua e là, avendo fatto tante cose e costruito grandi imprese, ma senza lasciare ciò che serve a questo mondo: l’amore che tutto e tutti unisce nel Signore.