V del tempo ordinario B

4 febbraio 2024

 

La fretta che portò Maria ad alzarsi per recarsi dalla cugina Elisabetta, entrare quindi nella sua casa e portarle il suo saluto, è la stessa che ha trasmesso al figlio suo, Gesù, fretta che è desiderio. Il Vangelo ci narra che Simone e quelli che erano con lui, si misero sulle sue tracce, lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!»; egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». Gesù ha urgenza, ha fretta di portare a tutti il Vangelo, tanto da non lasciarsi catturare dall’entusiasmo della folla che lo cerca in ogni luogo. Il Vangelo, infatti, non ammette lusinghe, non accetta plausi, non sopporta attrattive. Il Vangelo non può che essere annunciato e vissuto, per questo Paolo scrive: Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!  Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch'io. Il Vangelo ha urgenza di essere accolto e testimoniato nella vita quotidiana, a partire proprio da un semplice saluto, proprio da quell’atto tanto comune, e a volte tanto scontato, che instaura una relazione, un rapporto, un’amicizia. Quanti «Buon giorno» formali abbiamo pronunciato che con il tempo e la frequentazione sono diventati quel «Ciao» di tutti i giorni; quanti «Salve» abbiamo augurato, imbarazzati per non sapere cosa dire, sono diventati quell’«Arrivederci» che esprime il desiderio di incontrarsi di nuovo. Quanti saluti hanno caratterizzato la vita di don Bosco che ha manifestato il Vangelo della carità, entrando in relazione con molti ragazzi e aprendo loro le braccia dell’oratorio, offrendo loro una vita nuova, sicura, dignitosa, portando a compimento ciò che avvenne 200 anni fa, nel 1824, quando Giovannino ebbe il grande sogno della sua vita. Scriverà don Bosco:

A 9 anni ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente tutta la vita. Nel sogno mi parve di essere vicino a casa, in un cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli che giocavano. Alcuni ridevano, non pochi bestemmiavano. All'udire quelle bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo a loro, adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel momento apparve un Uomo venerando, nobilmente vestito. Il volto era così luminoso che non potevo fissarlo. Mi chiamò per nome e mi disse: «Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai acquistare questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente a parlare loro sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù». Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante. In quel momento i ragazzi, cessando le risse e gli schiamazzi, si raccolsero tutti intorno a Colui che parlava. Quasi senza sapere cosa dicessi, domandai: «Chi siete voi che mi comandate cose impossibili?». «Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili, dovrai renderle possibili con l’obbedienza e acquistando la scienza». «Come potrò acquistare la scienza?», chiesi. Mi rispose: «Io ti darò la Maestra. Sotto la sua guida potrai diventare sapiente». «Ma chi siete voi?», domandai di nuovo. Quell’Uomo mi rispose: «Io sono il Figlio di Colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno. Il mio nome domandalo a mia Madre». In quel momento vidi accanto a lui una Donna di maestoso aspetto, vestita di un manto che splendeva come il sole. Scorgendomi confuso, mi fece cenno di avvicinarmi, mi prese con bontà per mano: «Guarda!», mi disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti scomparsi, al loro posto vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, di orsi e di parecchi altri animali. «Ecco il tuo campo, ecco dove dovrai lavorare. Renditi umile, forte e robusto: e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali tu lo farai per i miei figli». Volsi allora lo sguardo, ed ecco: invece di animali feroci apparvero altrettanti mansueti agnelli che, saltellando, correvano e belavano, come per far festa intorno a quell'Uomo e a quella Signora. A quel punto, sempre nel sogno, mi misi a piangere, e pregai quella Donna a voler parlare in modo chiaro, perché io non sapevo cosa volesse significare. Allora Essa mi pose la mano sul capo e mi disse: «A suo tempo tutto comprenderai». Aveva appena dette queste parole che un rumore mi svegliò, e ogni cosa disparve. Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che facevano male per i pugni che avevo dato, che la faccia mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti da quei monelli. Al mattino ho raccontato il sogno prima ai miei fratelli, che si misero a ridere, poi a mia madre e alla nonna. Ognuno dava la sua interpretazione: «Diventerai un pecoraio», disse Giuseppe. «Un capo di briganti», malignò Antonio. Mia madre: «Chissà che non abbia a diventare prete». Ma la nonna diede la sentenza definitiva: «Non bisogna badare ai sogni». Io ero del parere della nonna. Tuttavia non riuscii mai a togliermelo dalla mente. Tutti gli anni che seguirono furono segnati profondamente da questo sogno. Mamma Margherita aveva capito che esso indicava una strada (Memorie biografiche di Don Bosco).

Se di questo sogno, avvenuto 200 anni fa, ne godiamo ancora tutt’oggi nelle nostre comunità attraverso i nostri oratori, tanto più del Vangelo che Cristo ci ha annunciato duemila anni fa, un Vangelo sempre attuale che passa attraverso un saluto e arriva a una mano aperta come segno di carità, una mano che stringe la mano di chi incontriamo per camminare insieme, fino a prometterci quell’«A-Dio» che ci porta ad affidarci al Signore su questa terra, certi di ritrovarci tutti in paradiso. Un semplice saluto racchiude in sé una buona parola che porta a tendere un braccio e a spalancare una mano, non per respingere o percuotere come avvenne nel sogno del piccolo Giovanni, ma per camminare insieme, come avvenne nella vita di don Bosco e come può avvenire nella nostra, ovunque e con chiunque saremo.